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25 Aprile: la ritrovata libertà di allora e quella che ci aspetta nel “dopo Covid”

Il 25 Aprile, la ritrovata libertà di quei giorni e la nuova libertà che ci attende fra qualche settimana

Il 25 Aprile della Resistenza astigiana, la ritrovata libertà di quei giorni e la nuova libertà che ci attende fra qualche settimana. Di seguito l’articolo di Claudio Bo, giornalista e direttore de La Piazza Grande di Fossano e Mondovì, che ospitiamo volentieri come testimonianza a commento di questa giornata.

Scampati alla morte per un soffio

Ad ogni 25 Aprile mio padre ci raccontava episodi della Resistenza, spesso avventurosi, come piacevano a noi ragazzi: imboscate, mitragliamenti e fughe nella notte. Alcuni di questi racconti ci parevano incredibili così come era agghiacciante il concetto di guerra fratricida e clandestina.

Ricordo che spesso ci raccontava di Castello d’Annone, nell’Astigiano quando era scampato alla morte. Era su una vecchia corriera incolonnata su un ponte con camion e carri quando un aereo inglese, forse uno Spitfire, li mitragliò. Dopo il primo passaggio dell’aereo c’erano già decine di morti e feriti e il velivolo stava virando per tornare verso il ponte. Mio padre si lanciò giù dal parapetto cadendo dopo vari metri nel fango e salvandosi.
Quel fatto segnava talmente la sua vita che, 40 anni fa, con mia moglie di ritorno dal viaggio di nozze, passammo da Genova e lui decise di portare i novelli sposi proprio su quel ponte: ho ancora la foto, senza quella provvidenziale pozza di fango, probabilmente, io non sarei mai nato.
Ma il racconto che più mi colpì, in una di quelle ricorrenze, non aveva nulla di “bellico”. Mio padre si trovava in una cascina dell’Astigiano, era febbricitante per cui era a letto. Sulla sua testa un’enorme radio era posata su una mensola. E proprio dalla voce della radio apprese della vittoria: era il 25 Aprile e i partigiani stavano entrando nelle città del Nord, anche se in maniera non simultanea: alcune città erano infatti già state liberate, altre non ancora. A Mondovì, ad esempio, i partigiani arrivarono il 29 Aprile. Anche la formazione di mio papà (era ufficiale partigiano) si sarebbe presentata il giorno dopo al comando di zona.

L’Italia era libera

Comunque, nel torpore della febbre, il giovane partigiano si ridestò: l’invasore stava fuggendo, l’Italia era libera! Si alzò e uscì nell’aia dove lo attendeva il silenzio profumato della campagna primaverile, un silenzio graffiato dal brusio dei mille richiami della Natura.
E quello che colpiva nel suo racconto era proprio la descrizione di quell’istante: tutti i sensi del suo corpo scoprirono la Libertà, come se fosse impressa in quel cielo e su quelle colline, nel vento, nelle fronde, nei cinguettii, nel profumo della terra, nella carezza dell’aria sulla pelle, nel corpo stesso del campo su cui poggiavano i suoi scarponi.
Nelle celebrazioni della Resistenza spesso si omette questo aspetto: la felicità, ma anche lo sgomento, di aggirarsi in una nuova era, in una Patria libera dove l’orrore della guerra era finito. Tutti sappiamo che il primo dopoguerra fu un periodo difficile e, per molti versi crudo, ma intuiamo anche la straordinaria forza che doveva animare quel popolo di sopravvissuti, ferito e impoverito, ma libero.

Forse, provando ad immaginare quella sensazione, riusciremmo a gustare con più gioia l’enorme eredità che la Guerra di Liberazione ci ha lasciato. Magari oggi, rinchiusi nelle nostre case, attendendo la lenta ritirata dell’invasore, riusciamo a comprendere meglio il significato della libertà.
In qualche modo anche noi siamo travolti da un evento planetario. Contrariamente ai nostri padri e ai nostri nonni viviamo una quotidianità ovattata, un po’ artificiale, un po’ virtuale. Non sarebbe neppure male se non ci fosse lo stillicidio dei morti e delle tragedie e se non avvertissimo la lenta rovina della nostra società: in che mondo vivremo quando potremo nuovamente uscire? Quante nuove povertà, quali disgrazie, quali tensioni sociali dovremo affrontare?

“Per coloro che uscivano dalla guerra la “fase 2” era la naturale conseguenza dell’essere vivi”

La sensazione è quella di un pianista che suona un valzer nel salone delle feste di una nave che affonda lentamente. Attorno a lui tutto è come prima, solo deserto, perché i passeggeri sono fuggiti. Ogni tanto si versa un bicchiere di vino, osserva i tavoli candidi e lo sfarzo degli arredi. Mentre il rollìo accentua impercettibilmente.

Per coloro che uscivano dalla guerra la “fase 2” era la naturale conseguenza dell’essere vivi. Per noi è qualcosa di lontano, quasi fosse meglio continuare a suonare in attesa che il mare ci inghiotta. In realtà nessun Paese al mondo può reggere una fase di riduzione della produzione (e, quindi, del gettito fiscale) così lunga. Fra cassa integrazione e imposte “slittate” presto lo Stato non avrà più soldi per pagare la sua stessa macchina operativa, le pensioni e il wefare.

Soltanto stampando moneta ci si potrebbe salvare, ma l’Europa non può farlo, quindi sostanzialmente consente agli Stati  solo di indebitarsi ancora di più.

Eppure la “fase 2” non è rimandabile. Bisognerà per forza ritornare a produrre con la gradualità del caso. In realtà, per quanto si consenta la ripresa delle attività produttive, si tratterà sempre di una parte: industrie, artigiani, agricoltori, cantieri, professionisti. Del resto non si capisce perché possa lavorare la filiera alimentare e non le altre: basta adeguarsi alle misure di sicurezza. Allo stesso modo circolano poliziotti, postini, coloro che consegnano a domicilio, così come lavorano i supermarket e altre attività di vendita. Non risulta che queste categorie abbiano avuto un’impennata di contagi. In realtà contagiati e morti restano fra gli infermieri e i medici, per loro il rischio è evidente, ma per gli altri?

Misure di sicurezza e mascherine

Attenendosi alle misure di sicurezza molti potrebbero tornare a lavorare. Ci abitueremo ad indossare le mascherine e i guanti, a portare con noi il gel disinfettante. Fra l’altro le mascherine non servono per proteggerci, ma per evitare di contagiare altri: insomma se tutti la portano i rischi di contagio scendono quasi a zero. Restano alti se una persona contagiata, magari asintomatica, non la porta.

Quindi ripartire è possibile, ma non certo risolutivo: molta parte del terziario, la ristorazione e il settore turistico ritorneranno a lavorare solo dopo la comparsa del vaccino. Ci vorranno mesi e mesi. E quelli sono i settori trainanti della nostra economia. Inoltre la produzione è legata alla domanda, che è in picchiata. Magari tanti si riconvertiranno per produrre presidi sanitari, reagenti, vaccini.

Infine servirà uno screening totale per scoprire coloro che hanno prodotto anticorpi tali da non rischiare più. Potrebbero essere milioni e noi non lo sappiamo. Costoro potrebbero essere i primi a riconquistare il mondo, lavorare per gli altri, servire la collettività secondo le proprie competenze. Basterà certificare questi nuovi monatti e dar loro precise mansioni.

Il dopo Covid sarà una realtà totalmente diversa da quella precedente, avremo nuove regole e nuove priorità. Alcune, sicuramente, saranno fondamentali: far ripartire tutti i cantieri per dare lavoro e creare un indotto, trovare settori nuovi per il videolavoro e snellire la burocrazia per salvare l’economia. Resistere, in vista di una svolta. Forse si può fare, ma sarà difficile.

Claudio Bo

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