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Asti, il dottor Novellone spiega: «Il pericolo Covid? E’ una questione di numeri»

Il noto neurologo, positivo al Covid 19, statistiche alla mano richiama alla necessità di non “stressare” il sistema sanitario nazionale

Ancora in quarantena perchè positivo

Di appelli alla prudenza e alle precauzioni per proteggere noi stessi e le persone a noi care ne sentiamo ogni giorno ormai da mesi, ma forse un ripassino prettamente numerico, fatto da un medico astigiano che il Covid l’ha vissuto sulla sua pelle, potrebbe essere utile.
Lui è il dottor Gianluca Novellone, neurologo, ancora in quarantena dopo l’acclarata positività e due passaggi in Pronto Soccorso per sintomi piuttosto pesanti e preoccupanti.
«La gente deve comprendere bene il concetto statistico che sta dietro alla necessità di contenere al massimo la diffusione del virus» esordisce.

Le statistiche spiegano il lockdown

«I virologi dell’Oms hanno accertato che il 95% dei positivi Covid è asintomatica e ha una bassa carica virale. Sembra una percentuale altissima, ma non lo è – chiarisce il dottor Novellone – Noi dobbiamo concentrarci su quel restante 5% che avrà bisogno di accesso alle cure ospedaliere, più o meno intensive. Prendiamo ad esempio una città come Torino, che ha circa 1 milione di abitanti. Mettiamo che si contagi solo la metà, quindi 500 mila persone. Di queste, il 5% corrisponde a 25 mila persone. E a Torino non ci sono ospedali, letti, strutture diagnostiche, infermieri e medici per curare in un lasso concentrato di giorni, una tale quantità di persone. Tenendo conto che non esistono solo pazienti Covid ma continuano ad esserci malati di altre patologie gravi e urgenti».

Evitare lo stress del sistema sanitario

E questo esempio va ribaltato in ogni città, grande o piccola che sia, in ogni distretto sanitario, in ogni Asl. Per questo motivo è importante limitare il contagio, perchè il nostro sistema sanitario nazionale (ma anche quello degli altri Paesi) non è in grado di reggere lo “stress” numerico di pazienti che affluiscono ogni giorno in proporzione crescente. Tenendo conto che vanno ad assommarsi a quelli già presenti nelle terapie intensive e sub intensive dove rimangono per diversi giorni, visto che non è una malattia che si curi velocemente.

In tre giorni è cambiato tutto

«Per far capire meglio l’escalation di questa nuova ondata porto il mio esempio personale – racconta il dottor Novellone – La prima volta che mi sono reso conto di avere sintomi da Covid mi sono presentato al Pronto Soccorso di Asti. Dove, peraltro, sono stato trattato benissimo. Eravamo in 3 o 4 Covid in Pronto Soccorso e tutto era tranquillo. Era di martedì. Sono andato a casa ma il giovedì sono dovuto tornare perchè ero peggiorato: in soli tre giorni era cambiato tutto: non c’erano più letti, gente in attesa ovunque, infermieri e medici in affanno. In soli tre giorni».
Gli ospedali si stanno velocemente saturando, questa è un’ondata troppo acuta con numeri troppo grandi in troppi pochi giorni per poterla contrastare.
E c’è un altro aspetto sul quale il dottor Novellone chiama tutti alla riflessione.

Una malattia subdola

«Il Covid 19 è una malattia maledettamente subdola. Io, per il lavoro che faccio e per la profonda sensibilità che nutro verso questi temi di prevenzione, ho sempre indossato la mascherina, mi sono sempre igienizzato le mani, ho sempre mantenuto il distanziamento sociale, non ho più frequentato amici, non sono uscito a pranzo o cena, ho eliminato ogni occasione di incontro a rischio. Eppure mi sono contagiato e ancora oggi non so come. I miei collaboratori di studio che hanno condiviso gli stessi spazi, gli stessi pazienti, le stesse procedure di precauzione, sono fortunatamente tutti negativi. E’ un virus che ha una capacità di trasmissione come poche ne sono state registrate nella letteratura medica».
Dunque? «Unico rimedio è quello di stare a casa, autoconfinarsi. Il Covid 19 di per sè non è una malattia gravisisma, lo diventa se si fa “saltare” il sistema sanitario che, intasato, non può più garantire cure efficaci a quel 5% di positivi che ne hanno bisogno».

Daniela Peira

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