Parla un caposquadra
Nella replica dei cacciatori alla Provincia di Asti che li ha criticati per gli insufficenti abbattimenti di cinghiali, oltre a Piero Terzolo a difesa della categoria, interviene anche Fulvio Torchio, caposquadra del gruppo di cinghialisti che cacciano fra Portacomaro e Castell’Alfero, nella zona 10.
«Per cacciare i cinghiali usciamo fino a tre volte alla settimana e ci facciamo carico di tutte le spese: benzina per i mezzi che usiamo per spostarci, munizioni, cani, cure veterinarie per i non pochi attacchi che subiscono, strutture per trattare gli animali abbattuti, conferimento pelli degli animali macellati. E poi i tanti rischi che corriamo noi, i nostri cani e la popolazione. Tutto questo in forma totalmente volontaria».
«Corriamo rischi e veniamo anche criticati»
Il caposquadra insiste sui rischi che lui e gli altri cacciatori corrono ogni volta che escono a fare le battute.
«Un conto sono le battute di inverno, un altro sono quelle in stagione vegetativa con maggiori pericoli dovuti alla scarsa visibilità nei boschi. E dopo tutto quello che facciamo (parliamo di 1500 capi abbattuti in un anno) , non ci stiamo a prenderci la colpa della proliferazione dei cinghiali».
Un po’ perché ritengono di fare tutto il possibile per il contenimento e un po’ perché l’aumento del numero di cinghiali è dovuto all’aumento delle aree forestate, incolte e impenetrabili che rappresentano il loro habitat prediletto.
«La via del rimprovero rischia di far stufare quei pochi che ancora vanno a caccia»
E i cacciatori sono numericamente sempre di meno a causa dell’età sempre più avanzata e di uno scarso ricambio generazionale dovuto ad una cultura che non favorisce l’ingresso di giovani in questo mondo.
«In questa situazione la Provincia non può scegliere la via del rimprovero perché si rischia solo di stufare anche quei pochi ancora vanno a caccia e si impegnano nelle battute. Un servizio che andrebbe riconosciuto e rivalutato, non mortificato».
d.p.