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I moscatisti durante l'incontro di Santo Stefano Belbo
Attualità

Flessione per Asti e Moscato docg, il Consorzio: “Occorre più promozione”

4 milioni di bottiglie, vendite a -4,7 per cento rispetto alla vendemmia precedente. Numeri capaci di zittire la rumorosa platea di moscatisti convenuti per l’annuale incontro dell’Immacolata al centro congressi a Santo Stefano Belbo

Asti e Moscato docg in flessione

4 milioni di bottiglie, vendite a -4,7 per cento rispetto alla vendemmia precedente. Numeri capaci di zittire la rumorosa platea di moscatisti convenuti per l’annuale incontro dell’Immacolata al centro congressi a Santo Stefano Belbo. Convocati dai rappresentanti di categoria del Consorzio dell’Asti, sono accorsi numerosi assiepando il salone. Ognuno con il proprio carico di attese, speranze, conferme. Anche delusione. E un po’ di confusione, condizione (quasi) normale in momenti in cui trovare la bussola è una gara ad ostacoli.

Clima surriscaldato e bollente

Al tavolo i dirigenti di parte agricola: i vicepresidenti Stefano Ricagno e Flavio Scagliola accompagnati dai consiglieri Filippo Molinari, Mario Sandri, Bruno Fortunato e Fabrizio Canaparo. Funzione-parafulmine la loro, portavoce di un ente verso il quale i vignaioli è parso non sentano reale appartenenza. Le molte interruzioni alla scaletta, spesso veementi esplicitate in dialetto, e i ripetuti scambi di opinione you for you hanno surriscaldato un clima già di per sé bollente.
Tanti gli argomenti in agenda: dal fondo di promozione 2016 e la “brandizzazione” di vigne e rotonde alla comunicazione sino alle “trattenute” erga omnes sulla vendemmia 2019 passando per il progetto “Sorì” e le vendite.

In un angolo il prelievo sul raccolto

Il tanto vituperato prelievo sul raccolto di tre anni or sono è stato messo subito in un angolo, seppur evocato a più riprese. A Stefano Ricagno tocca spiegare i termini della “palinatura”: i totem raffiguranti il brand di Moscato e Asti e la realizzazione delle rotonde con il logo del Consorzio. «Non serve a nulla, lo avevamo già fatto. Poi sono arrivate le aziende e i’an piò tut lur (hanno preso tutto loro)» è il commento tranchant di un produttore. Ricagno, educato e discorsivo, parla dell’importanza della comunicazione che passa anche attraverso l’identificazione del territorio.

Una pubblicità che duri nel tempo

Ecco, promozione e comunicazione. «Com’è stata fatta negli anni scorsi, per il solo mese di dicembre, sono soldi buttati (eufemismo)» sentenzia un’altro. Parte una litania di approvazione. «Due aziende sono disposte a unirsi al nostro piano di comunicazione» spiega, ecumenico e pacato, Ricagno. «Bene, facciamo una pubblicità che duri nel tempo» ribatte il vigneron. «Costa, bisogna investire» dicono dal tavolo. Si tratta di autofinanziarsi.
Partono bordate. «Tocca sempre a noi mettere mano al portafogli! Facciamo pagare quelle ditte che ancora non hanno versato il contributo». Applauso.

L’attenzione sui sorì

L’attenzione si sposta sui sorì, le vigne storiche che costellano i pendii di Langa e Monferrato. Luca Tosa, vice sindaco di Cossano Belbo, spiega il progetto. «Ci stiamo lavorando. I tecnici interverranno su planimetrie, pendenze, esposizioni per ritornarci una fotografia aggiornata e reale della situazione. Finiamo la cartografia e ci reincontriamo» dice. «Tempi troppo lunghi – si leva una voce -. Anche perchè con i sorì non si campa. Vallo a spiegare a un americano o a un tedesco che quel Moscato d’Asti Docg costa di più perchè prodotto in una posizione migliore».

2,6 milioni di bottiglie in meno

Assemblea ammutolita sui dati di vendita. «C’è uno scarto di 2,6 milioni di bottiglie rispetto al periodo gennaio-ottobre 2018 – annuncia Stefano Ricagno -. Flette anche il tappo raso. Che cosa facciamo?». La colpa è delle aziende «che non spingono l’Asti (altro eufemismo) ma solo gli spumantelli dove guadagnano di più!» tuona un rubizzo moscatista. I bravo! si sprecano.

Una ricetta per uscire dall’angolo

Una ricetta per uscire dall’angolo ci sarebbe: il Moscato d’Asti Spumante. La srotola Giovanni Bosco, insolitamente calmo (sereno sarebbe troppo). «Il mondo ce lo chiede, c’è terroir e vino anche nel nome. Così le rese salirebbero oltre i 100 quintali ettaro e le aziende potrebbero proporre un prodotto in linea con il mercato». Cavallo di battaglia del leader del Ctm mai presa seriamente in considerazione. «Le aziende non avrebbero più l’alibi di non investire sul prodotto» è la sua linea.
L’assemblea è tiepidina, il Consorzio attende.
E’ quasi mezzanotte. La strada per uscire dall’angolo di «una vigna che rende sempre meno» è ancora incerta. «Torniamo al mercato libero, è la nostra unica strada!» la butta lì, stremato, il produttore che coltiva sorì «rinunciando a una vendemmia su tre». Ma i bravo! stavolta non arrivano. Cin cin con Asti Secco. Che perde, rispetto a dodici mesi fa, il 28% delle vendite.

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