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Il lavoro nell'orto come rieducazione" alt="Frutta e verdura dal carcere alla mensaIl lavoro nell'orto come rieducazione" loading="lazy" />
Attualità

Frutta e verdura dal carcere alla mensa
Il lavoro nell'orto come rieducazione

Si chiama “Coltiviamo la libertà” il progetto di orto sociale che sta crescendo tra le mura del penitenziario di Quarto. Un’iniziativa che fa parte del programma di collaborazione tra il Comune

Si chiama “Coltiviamo la libertà” il progetto di orto sociale che sta crescendo tra le mura del penitenziario di Quarto. Un’iniziativa che fa parte del programma di collaborazione tra il Comune di Asti e la struttura carceraria «dove la funzione rieducativa può essere maggiormente perseguita dando un’opportunità di lavoro ai detenuti – commenta il sindaco Fabrizio Brignolo – Senza considerare la valenza simbolica di questa iniziativa nella quale il frutto del lavoro di queste persone viene destinato ai cittadini, soprattutto a quelli bisognosi come nel caso della mensa sociale». E’ infatti questa una delle novità del progetto: una parte dei prodotti coltivati nell’orto vengono regalati alla mensa di corso Genova garantendo alle suore una serie di alimenti freschi, di stagione, completamente a km/0. Un’altra parte di questi prodotti (pomodori, melanzane, peperoni) viene acquistata dal gruppo 3° Sma che li rivende nei propri supermercati.

L’amministrazione comunale crede molto nel lavoro dei carcerati come strumento di rieducazione e reinserimento nella società e, come annunciato dall’assessore ai Servizi Sociali Piero Vercelli, «allargheremo questa collaborazione con il carcere usando i detenuti in cantieri, in progetti di volontariato e attraverso le borse lavoro». Ed è proprio con l’intenzione di dare un lavoro già prima della fine della pena che nasce “Coltiviamo la libertà”. Gli 8 detenuti che oggi lavorano al progetto sono infatti regolarmente assunti, hanno tra i 30 e i 40 anni e sono sia italiani che stranieri. Per lavorare all’orto, recentemente diventato anche frutteto per la produzione di prodotti tipici dell’Astigiano, è necessario aver seguito un corso di formazione della durata di 600 ore, aver superato un esame (che rilascia un regolare attestato di qualifica), essere detenuti in regime di media sicurezza e avere una regolare condotta all’interno del penitenziario.

A supervisionare il progetto sono Anna Cellamaro (capo area educativa), Paolo Marin (capo agronomo) e Leonardo Gagliardi (comandante della polizia penitenziaria). L’azienda agricola del carcere di Quarto si sviluppa su una superficie di 1,7 ettari e oggi ha 600 alberi da frutta messi a dimora con circa 70 diverse varietà. «Per estensione è il 3° frutteto di questo tipo del Piemonte – spiegano i responsabili – e abbiamo già creato contatti con l’Università per creare una collaborazione nella preservazione genetica dei frutti». In futuro l’iniziativa punta ad ottenere la qualifica di prodotto biologico, il marchio km/0 e il riconoscimento della valenza sociale in quanto produzione interamente carceraria.

Riccardo Santagati
@rickysantagati

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