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La testimonianza

I confini con la guerra visti dagli occhi dei volontari astigiani della Croce Verde

In tre giorni hanno percorso migliaia di chilometri con l’ambulanza portando su aiuti ad un centro di raccolta profughi in Romania e tornando indietro con una famiglia di profughi

Sono fra gli astigiani che più si sono avvicinati alla zona di guerra pur rimanendo al confine con la Romania.
Sono Sergio Gallo e Walter Musso, volontari della Croce Verde di Asti, che da giovedì a domenica hanno fatto andata e ritorno con un’ambulanza che faceva parte della colonna mobile organizzata dalla consorella genovese. La missione era quella di portare su medicinali, generi alimentari per bambini, pannolini e pannoloni e tornare in Italia con un “carico” di profughi in cerca di salvezza.
E sono bastati tre giorni per cambiarli, nonostante la loro militanza alla Croce Verde e dunque l’attitudine ad occuparsi di emergenze e persone in difficoltà.
Quando gli si chiede quale sia l’immagine che non dimenticherà mai di questa esperienza, Sergio Gallo non ha dubbi: «Al centro profughi ho visto arrivare, con lo sguardo stravolto, una donna giovane con una valigia, due figlie gemelle e la gabbietta con il gattino dentro. Ecco, lì ho avuto contezza di cosa possa significare lasciare tutto e fuggire con i soli affetti, nella speranza di trovare una vita migliore. Una cosa che, oltre tutto, è successa da un momento all’altro. Difficile non immedesimarsi e provare profonda commozione».
Gallo e Musso sono partiti giovedì sera dalla sede della Croce Verde di Asti e ad Alessandria si sono aggiunti alla colonna mobile proveniente da Genova. Hanno viaggiato tutta la notte e sono arrivati a destinazione, la città romena di Suceava, nella notte di sabato.
«Un guasto per strada e poi i percorsi abbastanza impervi ci hanno rallentato – racconta Gallo – Eravamo diretti ad un centro di smistamento profughi realizzato nel salone delle feste di un hotel ma non ci aspettavano più: la nostra camera era stata assegnata ad una famiglia di profughi e noi abbiamo dormito sulle brande preparate per loro».
L’hotel è di proprietà di un cittadino ucraino che, appena iniziata l’invasione, ha deciso di destinarne una metà ai connazionali profughi. Un’efficiente associazione di volontari di quella città a 40 chilometri dall’Ucraina, ha messo in piedi un sistema di accoglienza delle persone, di registrazione elettronica e di assegnazione di posti. Il salone, racconta Gallo, è stato arredato con centinaia di letti, materassi e kit di lenzuola monouso. Una tappa, spesso di una sola notte, e poi i pulmini in arrivo dall’Ucraina ripartono per le destinazioni di ogni profugo. Spesso ospitati da parenti e amici che già vivono in altri Paesi europei.
Un viaggio infinito che mischia la disperazione e la paura dei bombardamenti alla fatica della fuga.
I volontari fanno il possibile per reindirizzare i profughi e liberare dei letti, perché gli arrivi sono continui.
Il piano terreno dell’hotel è stato destinato a magazzino di generi alimentari, medicinali e vestiario che stanno giungendo da tutta Europa e la stessa organizzazione si preoccupa di distribuirli secondo necessità.
«Quello che colpisce è l’evidenza della fratellanza che ci accomuna agli ucraini, che vivono all’occidentale e per questo ci colpisce ancora di più ciò che sta accadendo» dice Gallo.
L’ambulanza astigiana è stata il “taxi” per l’Italia di una donna di circa 40 anni con la figlia di 10 che stringeva al petto un pupazzo di peluche; al seguito solo un piccolo trolley che conteneva tutti i loro ricordi.
«Le abbiamo accompagnate a Sirmione dove ad aspettarci c’era il cognato che aveva sposato la sorella della donna – spiega ancora Gallo – L’uomo, un italiano originario della Sardegna, ha invitato la cognata e la nipote in Italia e di lì le avrebbe accompagnate all’aeroporto di Orio sul Serio, a Bergamo, per l’ultimo tratto di viaggio verso la sua casa natia dove finalmente potranno riposare e riprendersi».
Il viaggio dalla Romania è avvenuto in totale silenzio: madre e figlia parlano solo ucraino e nello sguardo c’era solo la disperazione per la fuga. Non c’era spazio neppure per le chiacchiere e i convenevoli. Solo quell’abbraccio, stanco ma sincero, a Sirmione, quando sono scese dall’ambulanza e hanno incontrato, per la prima volta da giorni, un volto noto.

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