Prime richieste di informazioni, ma non ci sono le procedure
Ad Asti, già nelle ore successive alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, diversi cittadini si erano dati da fare, telefonando ai CAF o direttamente a esponenti dei vari sindacati, per sapere come e dove avrebbero potuto chiedere il reddito di cittadinanza promesso in campagna elettorale dal Movimento 5 Stelle.
Non solo ad Asti, a dirla tutta, ma anche in altre città e prima ancora che venisse stabilito il noto “Contratto” tra Lega e M5S per creare il “Governo del Cambiamento”.
Ora, a 11 mesi dalla elezioni e a pochi giorni dall’approvazione del Decreto simbolo dei pentastellati, astigiani che pensano di poter rientrare nella platea dei beneficiari si sono messi in moto andando a bussare ai CAF dei vari sindacati per chiedere quali documenti siano necessari per ottenere il beneficio economico previsto dalla legge.
Parlano i sindacalisti astigiani
In realtà uno sforzo inutile perché, come spiega il Segretario confederale Cisl Alessandria/Asti Stefano Calella «ci sono solo tante parole, ma di concreto nulla dal momento che anche la Consulta Nazionale dei CAF, che raggruppa i principali CAF italiani, ha chiesto un incontro al Ministero del Welfare e del Lavoro per capire come si dovrà procedere con la compilazione delle domande. Ad oggi siamo ancora in attesa di una risposta».
Calella, ma non solo lui, fa presente che «non esiste ancora una convenzione tra i CAF e il Ministero su quali documenti dovranno essere presentati, a parte il modello ISEE, e ovviamente vorremmo che il prima possibile siano chiarite la procedure e le metodologie per avere quelle certezze che mancano».
Anche il Segretario generale provinciale della CGIL Luca Quagliotti racconta di analoghe difficoltà, ma aggiunge che alcuni astigiani si sono presentati agli sportelli del CAF «pretendendo i moduli per ottenere il reddito di cittadinanza».
«Abbiamo spiegato loro che non è così immediato, che non ci sono moduli – continua Quagliotti – e che occorre una serie di passaggi, ma mi dicono che queste cose stanno succedendo un po’ ovunque. Alcuni l’hanno capito, altri ci hanno accusato di non applicare la legge. Il problema è il messaggio dato dal Governo nel quale si lascia intendere che il reddito di cittadinanza sia cosa fatta, mentre dal punto di vista burocratico non abbiamo in mano nulla».
Armando Dagna, Segretario Generale UIL Asti-Cuneo, spiega che nel CAF sono passate persone per chiedere informazioni, «tenuto conto che in questo periodo si stanno rifacendo le certificazioni ISEE». «Sì – conferma – c’è qualcuno un po’ più agitato su questa faccenda, ma si tratta di casi sporadici. Il problema è che viene data una comunicazione sbagliata di una misura già in essere quando, invece, non è così».
Quanto può “incidere” il coniuge?
Il Segretario, però, apre il discorso anche a un altro aspetto che sta mettendo in allerta molti sindaci italiani. «Ci sono persone – aggiunge il sindacalista – che hanno chiesto delucidazioni su come venga contabilizzato il nucleo familiare rispetto alla presenza di moglie e figli».
Perché questa domanda? Stando alle cronache nazionali, ma non solo, quanto “incidano” coniuge ed eventuali figli non è una questione di lana caprina, ma può diventare un discriminante per ottenere o meno il reddito di cittadinanza.
Lorenzo Savia, sul Corriere della Sera del 23 gennaio scorso, è stato tra i primi a spiegare il nocciolo del problema: «Per avere diritto al sussidio – scrive – bisognerà avere un Indicatore della situazione economica equivalente, ISEE, inferiore ai 9.360 euro. Nasce da qui la tentazione dei furbetti dell’anagrafe. Un divorzio è capace di dividere in due il reddito e il patrimonio di una famiglia. E può consentire, in teoria, di scendere sotto la soglia fatidica. Magari sia all’ex marito sia all’ex moglie, che invece insieme erano troppo «ricchi» per avere diritto al sussidio. Stesso discorso per un figlio che va a vivere da solo. Attenzione però. Il decreto che ha fissato le regole per la riforma bandiera del Movimento 5 Stelle stabilisce che chi dichiara il falso rischia la reclusione. Da due a sei anni. E le regole dell’ISEE chiariscono che i coniugi restano nello stesso nucleo familiare anche dopo la separazione o il divorzio, se continuano a risiedere nella stessa abitazione».
Da qui la tentazione, per eventuali furbetti del redditino, di trovare il più classico degli escamotage così da dividere – per finta – la famiglia spostando residenze in posti di comodo, ma di fatto solo con l’obiettivo di intascare il reddito di cittadinanza.
Il sindaco di Villanova tra i primi perplessi
Fatta la legge, trovato l’inganno? Tra i sindaci astigiani il primo a sollevare una perplessità a riguardo è stato il sindaco di Villanova Christian Giordano: «Mi è sorta a seguito di un confronto con l’ufficio anagrafe del Comune un cui sono sindaco, Villanova, poiché una famiglia ha chiesto la separazione della residenza in un modo molto anomalo che non sto a spiegare nello specifico. – racconta il primo cittadino – Sentendo un funzionario di un altro comune di circa 1100 abitanti, mi ha fatto presente che soltanto l’altro giorno 4 famiglie hanno chiesto la separazione del nucleo familiare, quindi stabilendo, ogni famiglia, un luogo per un coniuge ed un altro per l’altro coniuge».
Preoccupazioni inutili? Forse? Ma si sa come vanno queste cose e in un Paese dove si è passati dai furbetti del quartierino a quelli del cartellino non ci stupiremmo se quelli del redditino siano già a tramare nell’ombra per incassare, anche fuori dal tetto coniugale, l’aiuto di Stato.
La scissione del nucleo familiare
Si chiama “scissione del nucleo familiare” ed è uno dei possibili strumenti che i “furbetti del redditino”, così sono già stati nominati, potrebbero utilizzare per cercare di rientrare nei parametri previsti per la concessione del beneficio statale.
Non c’è nulla di strano scoprire, improvvisamente, che il proprio matrimonio/convivenza non sia più così in salute come sembrava fino a pochi mesi fa: ma se non fosse una crisi coniugale il vero motivo per cui la coppia scoppia?
Separarsi per abbassare l’ISEE familiare, magari puntando ad un piccolo sussidio statale, non è poi così difficile né si può immaginare che non ci sia chi punterà a farlo. «La scissione del nucleo familiare può avvenire nello stesso Comune di residenza o in altro Comune – spiegano dagli uffici dell’anagrafe di Asti – Per legge, il Comune di cancellazione non può rifiutarsi di depennare una persona che chiede di essere tolta dal nucleo familiare spostando la residenza altrove, ma se lo stesso chiede la residenza in un altro Comune ci sono 45 giorni di tempo per svolgere i dovuti controlli da parte del nuovo Ente. Se, invece, il cambio di residenza avviene restando nel medesimo Comune, ad esempio un cambio di indirizzo, i controlli restano in capo al medesimo Comune, sempre entro 45 giorni».
E cosa succede se si scopre un cambio di residenza fasullo? «Se la polizia municipale scopre che la residenza non è stata spostata come da dichiarazione – continuano dall’anagrafe di piazza Catena – inviamo una raccomandata all’interessato dandogli 10 giorni per presentare le controdeduzioni. Se accettate, confermiamo il cambio di residenza, altrimenti la richiesta viene annullata con effetto retroattivo facendo decadere tutti i benefici di legge».
Lo stesso dovrebbe valere per il reddito di cittadinanza nel caso si scoprissero cambi di residenza, quindi separazioni, “di comodo” solo con l’obiettivo di intascare il sussidio di Stato. I controlli ci saranno, ma la normativa non aiuta. Dall’anagrafe aggiungono che, tecnicamente, sarebbe possibile spostare la residenza quasi ovunque, anche in un negozio, in un ufficio «e perfino in una caverna». «Certo – precisano gli incaricati – i controlli sarebbero effettuati con rigore, ma la legge non lo impedisce».
Ad oggi i dati in possesso dell’anagrafe di Asti non indicano aumenti sospetti delle scissioni/aggregazioni su suolo comunale: se a dicembre 2017 furono 135, nello stesso mese del 2018 ce ne sono state 134. A gennaio 2018 furono 145, mentre al 26 gennaio 2019 se ne contavano 148.