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Attualità
Intervista

«Sul commercio Asti punti a essere unica, con meno negozi in serie»

Alessandra Salimbene, specialista in Retail & Digital Marketing, analizza le criticità tra negozi che chiudono e l’omologazione dell’offerta

Negozi chiusi, vetrine spente, una certa omologazione nell’offerta commerciale dettata dalla presenza di molte attività in franchising, ma anche una diffusa carenza nella comunicazione, soprattutto digitale, che valorizzi le eccellenze e le singole capacità di cui essere orgogliosi. Anche ad Asti la crisi del commercio, economica quando non identitaria, si può toccare con mano passeggiando per le vie del centro. In corso Alfieri, piazza Alfieri, piazza San Secondo, via Garibaldi, piazza Statuto e tutte le vie limitrofe, che rappresentano il “centro commerciale naturale” della città, spiccano brand di catene che si trovano un po’ ovunque mentre le attività tipiche del posto, di solito artigianali, chiudono o non riescono a sostenere la trasformazione che interessa il settore iniziata prima della pandemia. Abbiamo chiesto ad Alessandra Salimbene, astigiana con esperienza a livello nazionale e internazionale, esperta di marketing e di comunicazione aziendale, ma anche formatrice e content creator, di analizzare la situazione per capire quali sono le criticità e quali le vie per rilanciare il commercio tradizionale.

Qual è la sua impressione sullo stato di salute del commercio ad Asti?

Asti ha un grande potenziale, ma sono dispiaciuta di vedere attività storiche chiudere per sempre anche perché un’offerta commerciale di qualità rende più bello il centro urbano. Tutto questo ha a che fare con il posizionamento di marketing della città in quanto brand: tutti pensano che Alba sia bellissima anche quelli che ci sono stati una sola volta o mai. Il sentimento è che Alba sia stupenda e a forza di sentirlo dire passa il messaggio che sia meglio di Asti.

Però Asti è riuscita a strappare alle Langhe una manifestazione come il “Magico Paese di Natale” che porta centinaia di migliaia di visitatori in città.

Sì, ma ho l’impressione che attiri migliaia di persone con il portafogli vuoto o comunque con un potenziale di spesa limitato. Allo stesso tempo soffoca quel poco di “retail astigiano” rimasto. Qual è la ricaduta economica sulla città, a parte qualche ristorante più pieno del solito? Manifestazioni come questa creano disagi ai cittadini, ma non portano una grande ricaduta economica. In giro per l’Italia si possono trovare tanti esempi da cui trarre ispirazione: per esempio Rovereto, una realtà che conosco perché sono consulente da vari anni di un’attività commerciale molto importante, è una cittadina con un bel centro in cui diverse realtà commerciali storiche sono state supportate dall’organizzazione di distretti commerciali, organizzano iniziative che portano molta gente nei negozi e dentro i quartieri con un impatto diretto sull’economia. Parliamo di eventi qualitativi, dedicati a temi specifici, che raccontano la storia locale, valorizzandola.

Alessandra Salimbene

Quindi sarebbe meglio lasciar perdere i mercatini di Natale in favore di qualcosa di più nostrano?

Non voglio demonizzare i mercatini di Natale ma novembre, ad Asti, non hanno molto senso anche perché basta andare nei luoghi dove li organizzano da sempre, come Bolzano o Innsbruck, per capire che non si può esportare un format se non c’è dietro lo spirito, la cultura e il contesto in cui quel format è nato e si è evoluto. Oltretutto non hanno nulla a che fare con le nostre tradizioni. Consiglierei di organizzare eventi che valorizzino ciò che è legato alla nostra storia e alle nostre specificità: guardiamo al Medioevo, o sviluppiamo, migliorandoli, format già di successo come il Festival delle Sagre, il Bagna Cauda Day, il Palio stesso che valorizzano le nostre specialità.

Poi c’è lo shopping on line che con la pandemia è esploso diventato la reale concorrenza di quasi tutti i negozi di vicinato. Un nemico impossibile da battere?

Iniziamo dicendo che molti astigiani non comprano ad Asti perché la gente ormai si muove moltissimo e l’e-commerce ha aperto un mondo che prima era impensabile. I commercianti non possono competere sul prezzo contro Amazon o altre grandi piattaforme, ma possono farlo migliorando la qualità dell’offerta e creando relazioni di valore con i clienti. Noto, però, che c’è scarsa cultura della relazione e non esiste una buona cultura manageriale. Infatti molti negozi storici hanno iniziato a chiudere quando il gioco si è fatto difficile perché non hanno avuto voglia o la possibilità di reinventarsi.

Sulla presenza di grandi catene in franchising lei è piuttosto critica.

Anche ad Asti i negozi in franchising sono ormai consolidati, gli stessi che si trovano nei centri commerciali o in tutte le altre città. Però sono quelli che, spesso, aprono la domenica. Il problema è per aprire un negozio in franchising non servono grandi competenze e si appiattisce l’offerta commerciale rendendo tutti i centri cittadini, per non parlare dei centri commerciali, uguali. Invece gli imprenditori che hanno progetti originali dovrebbero essere aiutati e valorizzati perché potrebbero rappresentare il valore aggiunto di un’offerta commerciale di qualità. Una piccola città, con un’offerta commerciale originale, varia e unica nel suo genere sarebbe interessante per gli astigiani e non solo.

C’è anche da tenere conto del caro affitti che non aiuta a far quadrare un bilancio.

Questo è vero perché ad Asti gli affitti dei locali commerciali sono spropositati rispetto al contesto nel quale si trovano, ma penso che ci sia un concorso di colpe. Un’amministrazione comunale dovrebbe promuovere la cultura imprenditoriale, magari insieme alla Camera di Commercio e alle associazioni di categoria. Fare corsi di formazione, spiegare ai commercianti che l’esperienza dell’acquisto in negozio dev’essere gratificante sotto tutti i punti di vista perché, altrimenti, vado altrove o mi rivolgo all’e-commerce. Se in media la maggior parte dei potenziali clienti sceglie di acquistare sul web o in un centro commerciale, il problema è il negoziante, non il cliente. I clienti pesano il beneficio nell’acquisto in un negozio e tengono conto di quali siano i vantaggi rispetto ai “disagi”. Avere il parcheggio davanti al negozio non è la soluzione perché se non accetto di percorrere 100 metri a piedi per raggiungere la tua attività vuol dire che non ti riconosco un valore. Poi occorrono politiche che penalizzino chi tiene i negozi sfitti per anni, tassandoli di più rispetto a chi, invece, li affitta a prezzi sostenibili se non calmierati.

In definitiva si può fare un salto di qualità?

Asti non ha le dimensioni per fare concorrenza economica alle metropoli, ma può avere una sua nicchia di mercato che valorizzi le proprie unicità. I commercianti devono investire nella comunicazione di qualità con i clienti, il cosiddetto Customer relationship management, per rendere non solo l’acquisto una bella esperienza, ma anche farli sentire speciali dopo, magari sfruttando l’informatica e i mezzi di comunicazione digitale per valorizzare la relazione anche al di fuori del solo contatto fisico sul punto vendita. Non grossi investimenti, ma investimenti fatti bene.

[foto Billi]

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