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Cronaca

Al processo contro Schettino
sapendo di aver sfiorato la morte

Insieme al figlio Alessandro, Patrizia Bagnasco Micca era sulla Costa Concordia il 13 gennaio dello scorso anno, quando la nave da crociera naufragò davanti all'Isola del Giglio. «Ci siamo rivolti ad uno psicologo per superare lo choc – racconta – Oggi non rifarei mai più una crociera» Il momento più difficile? Le due ore trascorse tra i soccorsi prestati al figlio e l’arrivo della madre sull’Isola del Giglio…

«Quei momenti non li ho dimenticati. Spesso, la notte, mi sveglio ricordando i rumori sordi dello scafo, le grida, il freddo che in poche ore avevano trasformato la vacanza in incubo. E mi ripeto: siamo stati fortunati». Patrizia Bagnasco Micca era, insieme ad altri 4 mila passeggeri, a bordo della Costa Concordia che, il 13 gennaio del 2012, urtò uno scoglio di fronte all’isola del Giglio squarciandone la carena e causando il naufragio. La canellese, con il figlio Alessandro alla sua prima crociera, era salpata da Savona per un tour nel Mediterraneo toccando Marsiglia, Barcellona, Palma di Majorca, Cagliari, Palermo, Civitavecchia.

Ma al porto ligure la “città galleggiante”, fiore all’occhiello della Costa Crociere, non c’è mai arrivata: arenata, il giorno prima dell’attracco in porto, su un basso fondale a poche centinaia di metri dalle coste dell’isola per un “inchino” maldestro voluto dal comandante Francesco Schettino. «Quei momenti sono, oggi, un pensiero vivido – spiega Patrizia Bagnasco Micca – Nelle settimane successive il naufragio, ritornata a Canelli vuoi per il clamore del fatto vuoi per le tante persone che mi fermavano per strada a chiedere notizie, m’era parso che fosse solo un brutto ricordo. Ma, nei mesi, quando la consapevolezza del dramma che abbiamo vissuto ha preso corpo, le ore trascorse sul relitto sono rimaste un incubo costante».

Flash nitidi di momenti concitati sui pontili della mastodontica nave, le scialuppe calate in mare, la paura: sentimenti che non passano. «Lo scossone forte, ripensandoci ora a mente fredda, è stato il vedermi divisa da mio figlio: lui su un ponte scortato a terra su una scialuppa, io in attesa senza poter comunicare. Poi, finalmente, sono stata fatta salire su un canotto: ma erano passate più di due ore di sfibrante attesa». Ricordi e suggestioni che dovevano essere decrittate. «Io e mio figlio, come molti altri, ci siamo rivolti a uno psicologo per superare lo choc». Contraccolpi psicologici che neppure le udienze del processo hanno stemperato. I due canellesi si sono costituiti parte civile nel processo a carico del comandante Schettino e dell’equipaggio della “Concordia”.

«Ho partecipato a tutte e tre le udienze nell’aula del tribunale di Grosseto. Nell’ultima, a ottobre, ho avuto l’onore di vedere in faccia il comandante Francesco Schettino. Un uomo ben diverso dalle prime apparizioni in tivù: la baldanza aveva lasciato il posto ad un mutismo pensieroso». Ma tra testimonianze e incidente probaborio la paura, sorda, è tornata. «I Ris dei Carabinieri ci hanno spiegato che siamo stati veramente fortunati: se le correnti e il vento, invece di “tirare” verso l’isola del Giglio avessero spinto la nave al largo oggi, probabilmente, non saremmo qui a raccontare questa storia».

La vita della famiglia Micca (il marito Gianpaolo era rimasto a casa), adesso, è segnata da quest’amara avventura. Ciò che naviga in mare, da qualche mese, è un’ossessione. «All’inizio non ci pensavo. Adesso, quando vedo le pubblicità di questi grattacieli galleggianti, avverto un’ansia profonda: il giorno di navigazione è bello e vola via senza pensieri – chiosa Patrizia Bagnasco – Ma la notte, quando guardi dall’oblò o dal terrazzino, vedi solo nero, acqua e nero. E, allora, i ricordi naufragano. No, non farei più una crociera».

Giovanni Vassallo

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