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Asti, fondevano chili di gioielli rubati per trasformarli in lingotti: chi sono gli arrestati

I carabinieri svelano l’operazione che ieri ha portato a sei arresti (tre astigiani) e sequestro di 37 chili di oro e 1 milione di euro in contanti

In meno di sei mesi hanno movimentato 100 chilogrammi di oro per un valore di 5 milioni di euro: sono questi i numeri dell’attività della banda che è stata arrestata ieri nell’operazione dei carabinieri di Asti per la quale è stato impiegato anche il nucleo elicotteristi di Volpiano.

L’indagine iniziata a settembre ha consentito di risalire alla rosa di persone (5 uomini e una donna) che, secondo le accuse, rappresentano un alto livello di ricettazione dell’oro proveniente da furti e truffe agli anziani portate a segno in tutto il Nord Italia.

Tre degli indagati sono astigiani: Giuseppe Lafleur, detto “Nana” o “Gigante” residente a Quarto; Renato Olivieri conosciuto come “Ciccio” residente a Trincere e Franco Piramide, detto “Provolino” o “Polifemo” residente in corso Savona.

Con loro sono stati arrestati Attilio Cena, “Richi” residente a Correggio in provincia di Reggio Emilia, Salvatore Talarico e Fabio Aliano residenti in Svizzera.

Ai domiciliari Amelio Cena “Ciro”, e Luigina Proietti “Elena”, entrambi residenti a Pavia.

Sono accusati dal sostituto procuratore Fiz che ha condotto l’indagine, di associazione a delinquere per la ricettazione di grandi quantitativi di oro e denaro che venivano “rastrellati” da altri piccoli ricettatori i quali, a loro volta, ricevevano i bottini dei singoli furti negli appartamenti concentrati soprattutto fra il Piemonte e la Lombardia.

Gran parte dei gioielli in oro venivano fusi artigianalmente in lingottini che prendevano poi la via della Svizzera dove due contatti del posto provvedevano a venderli e a trasformarli in denaro contante.

Nella fase finale dell’inchiesta sono state eseguite diverse perquisizioni che hanno portato al sequestro di 37 chili di oro e 1 milione di euro in contanti. Questo vero e proprio tesoro era nascosto dentro borsoni ben occultati nel baule di un’auto non funzionante  parcheggiata in un garage di San Giusto Canavese.

In un altro garage ad Alessandria sono state invece rinvenute 15 pistole funzionanti, tutte provento di furto con 1500 proiettili di vario calibro.

In un altro nascondiglio sono stati trovati gioielli ancora integri, ammassati per la successiva fusione; i carabinieri del Reparto Operativo e del Nucleo Investigativo del Comando di Asti stanno cercando di isolare il periodo in cui sono avvenuti i furti per fare un appello ai legittimi proprietari affinchè li riconoscano e li riottengano indietro.

E poi ancora medagliette d’oro incise, lingottini di quelli donati da aziende ai dipendenti di lungo corso, coppe sportive in argento e vari suppellettili di argenteria.

L’indagine ha visto la collaborazione dei carabinieri di Torino, Alessandria, Pavia e Piacenza e la polizia cantonale del Ticino per l’individuazione degli anelli finali di questa filiera dell’oro molto conosciuta da chi aveva bisogno di ricettare i bottini.

Tutti gli arrestati, infatti, erano noti nel giro perché valutavano i gioielli rubati più di altri ricettatori e poi perché erano “puntali” nel pagamento.

Difficile stabilire una “base” dell’organizzazione, perché, come ha sottolineato il tenente colonnello Pierantonio Breda, comandante provinciale, i suoi componenti erano “presenze fluide”, sfuggenti, difficili da intercettare, che cambiavano continuamente dimore, si spostavano in orari di punta per diminuire le probabilità di essere fermati e controllati e conducevano una vita apparentemente modesta per non attirare l’attenzione delle forze dell’ordine.

«La loro “professionalità” – ha sottolineato il tenente colonnello Balbo, comandante del Reparto Operativo di Asti – ha favorito la commissione di furti e truffe, perché rendevano conveniente e molto più facile, rispetto al passato, la ricettazione dell’oro. Per questo motivo i sei arresti hanno segnato un duro colpo a tutto quel mondo criminale».

E di quanto fossero sfuggenti e prudenti ha parlato anche il maggiore Gallucci, comandante del Nucleo Investigativo che ha sottolineato come fossero bene attenti ad utilizzare mezzi, depositi e dimore intestati ad altri o comunque non riconducibili a loro.

Le indagini hanno consentito di delineare anche le singole responsabilità.

Per quanto riguarda gli astigiani Piramide e Lafleur, il loro coinvolgimento riguarda la disponibilità delle loro abitazioni (insieme alla roulotte di Cena e Proietti nel campo nomadi di Pavia) dove avveniva la trasformazione dei gioielli in lingotti tramite fusione. Era poi Attilio Cena che portava i lingottini in Svizzera per consegnarli a Talarico e Aliano; sempre lui quando tornava in Italia con i contanti provento della vendita provvedeva a dividere i profitti fra tutti.

Cena Attilio è considerato il dominus di questa organizzazione mentre Lafleur e Piramide sono ritenuti i suoi più stretti collaboratori. Fra coloro che riceveva i gioielli e, a sua volta, li passava a Piramide, vi era anche  Oliveri; gli inquirenti gli attribuiscono diverse consegne, delle quali una anche la vigilia di Natale per averne abbastanza da fare una “fusione”.

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