Un durissimo commento quello che è arrivato a caldo dall’avvocato Roberta Maccia, del Foro di Torino, sulla richiesta del pm Cotti di depennare le accuse di violenza privata e lesioni personali il processo che si stava celebrando al Tribunale di Asti a carico dell’insegnante di canto e teatro Paola Tomalino.
L’avvocato Maccia rappresentava la parte civile costituita dall’Ordine degli Psicologi del Piemonte e numerosi ex allievi dei laboratori e dei corsi di Teatro della Crescita tenuti da Tomalino fra gli anni 2014 e 2018 ad Asti.
«Le giovani parti civili da me assistite sono uscite dall’aula con un senso di giustizia negata – scrive l’avvocato Maccia – La sentenza ha dichiarato la prescrizione del reato di violenza privata e la tardività delle querele per le lesioni patite dalle vittime, di fatto interrompendo il processo prima di giungere alla discussione, sebbene in istruttoria siano emersi anche reati diversi da quelli contestati, per i quali la prescrizione non è ancora maturata, e sebbene il reato procedibile d’ufficio attragga e renda procedibile anche il connesso reato procedibile a querela. Neppure avrebbe senso impugnare la sentenza, poiché la trattazione interverrebbe, questa sì, ad intervenuta prescrizione.
Porta dolore ed amarezza il fatto che questi giovani, venuti a contatto per la prima volta con la nostra giustizia – prosegue l’avvocato – siano usciti dall’aula avvertendo un senso di ingiustizia, che alimenta il senso di impotenza rispetto alle gravi violenze che ritengono di avere patito.
Onestamente, alla luce di quanto ascoltato in istruttoria, trovo davvero difficile spiegare loro il dovere di ogni cittadino di rispettare le sentenze dei giudici, anche quelle non condivisibili».
Ancora ieri, durante la seconda udienza pubblica, altre parti civili hanno confermato quanto avevano già ampiamente descritto nel primo esposto presentato all’Ordine degli Psicologi del Piemonte, nel 2019. E, perchiarire la tardività delle querele personali, tutti hanno spiegato che pensavano che quell’esposto valesse come denuncia e solo in seguito, diversi anni dopo, hanno scoperto che invece dovevano presentare ognuno di loro una querela singola.
Tutti hanno raccontato in aula come funzionava il Teatro della Crescita, che loro chiamavano “il Metodo”. Messo a punto da Paola Tomalino, si basava su esercitazioni di gruppo in cui ogni partecipante condivideva i suoi traumi e le sue turbe più profonde. Potevano essere di identità sessuale, di fragilità emotiva dovuta ad una depressione o ad un lutto importante, di violenze subite o assistite. Ognuno di loro era stato scelto dall’insegnante per partecipare a questi laboratori e tutti erano in lotta contro potenti demoni personali.
«Lei ci ha detto che per diventare dei bravi attori avremmo dovuto buttare fuori tutta la “mer…..” che avevamo dentro – hanno detto tutti – e per farlo ci sottoponeva a questi momenti in cui, di volta in volta, ognuno di noi era protagonista e doveva raccontare, ma a volte anche mimare e simulare con altri compagni, il trauma subito». I ragazzi, ormai adulti, sono stati tutti molto precisi nel descrivere date, riferimenti, gesti, parole, comportamenti degli anni di laboratori e di corsi intensivi.
Le accuse che hanno portato a processo Paola Tomalino, difesa dagli avvocati Filippo Testa e Giulia Occhionero, derivano dal fatto che gli allievi, invece di trovare il beneficio promesso nel metodo proposto dal Teatro della Crescita, hanno raccontato di essere ripiombati in malesseri che avevano contenuto in anni di psicoterapia oppure hanno vissuto un aggravamento dei traumi che già stavano vivendo.
Di qui le accuse di violenza privata e lesioni, oltre a quella di esercizio abusivo della professione di psicoterapeuta, l’unica per la quale il processo resta in piedi ma con una probabile soluzione, alla prossima udienza, in messa alla prova.
La difesa, dal canto suo, nei vari controinterrogatori dei testimoni, ha sempre puntato a far emergere la piena consapevolezza degli allievi al corso che stavano frequentando senza alcuna costrizione e ha sottolineato quegli elementi (frasi dette, messaggi scritti, comunicazioni varie) contestati dalle parti civili come parte dell’azione di manipolazione dell’insegnante ma interpretabili invece come normali esortazioni o confidenze di un’insegnante attenta all’evoluzione dei suoi allievi. Se l’imputata scegliesse la via della Map, non si arriverà mai ad una discussione e quindi ad una arringa difensiva nella quale emerga la sua versione dei fatti.