Tredici anni: i giudici torinesi della Corte d’Assise d’Appello hanno fatto uno “sconto” di due anni alla condanna a carico di Piero Pesce, l’operaio di Canelli che a novembre del 2022 ha ucciso nel sonno il figlio Valerio, 28 anni, nel loro bell’appartamento di viale Risorgimento.
E’ durata poco l’udienza che si è tenuta questa mattina a Torino. Piero Pesce, detenuto al carcere di Biella, era presente accanto al suo difensore, l’avvocato Carla Montarolo che ha discusso in punto pena la decisione dei giudici astigiani che lo avevano condannato a 15 anni.
Una decisione che aveva ampiamente tenuto conto della seminfermità di mente dell’uomo, affetto da una grave depressione originata dalla morte della moglie sette anni prima dell’omicidio del figlio. E aggravata dalla dipendenza del ragazzo da alcol e dal gioco d’azzardo.
Una condanna che aveva lasciato indifferente l’imputato. In aula Piero Pesce aveva detto: «Giudici, io la mia condanna a vita già ce l’ho ed è il dolore per aver ucciso la persona che amavo di più al mondo, mio figlio».
Il suo difensore aveva fatto appello per una ulteriore riduzione della pena in considerazione del suo stato di salute mentale che persiste e che è ben noto anche all’amministrazione del carcere di Biella, dove è detenuto in regime di protezione per timore di gesti suicidiari.
Pesce è un detenuto perfetto, perché vive, dal giorno dell’omicidio, un totale distacco dalla realtà e, così come confermato dal suo comportamento al processo di primo grado di Asti, il rapporto con il prossimo è improntato al rispetto e all’educazione che hanno sempre caratterizzato la sua vita di laborioso operaio e padre di famiglia.
Quello che si è rotto, in Pesce, è l’equilibrio interno faticosamente cercato dopo la dolorosissima perdita della moglie.
Lui è il primo e più severo giudice di sè stesso e lo è stato prima ancora di quelle coltellate sferrate al figlio mentre dormiva. Si accusava di non aver saputo colmare nel figlio il dolore per la perdita delle madre e di non essere stato in grado di “salvarlo” dai demoni delle dipendenze che gli stavano rovinando la vita.
«Questa riduzione della pena servirà a recuperare anni alla cura del mio assistito» ha detto l’avvocato Montarolo.
Stamattina a Torino non erano presenti la madre e la suocera dell’imputato, che avevano invece seguito tutte le udienze ad Asti. Era stato lui stesso, per il processo d’appello, a chiedere loro di non venire, in un senso estremo di protezione, per non sottoporle ad una trasferta faticosa per due donne molto anziane e affette da diverse patologie. Due donne che, nonostante la gravità del gesto di Pesce e la perdita del nipote, hanno sempre mostrato affetto e comprensione nei confronti dell’imputato, conoscendo da tempo il dolore che lo consumava dopo la perdita della moglie.