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Cronaca

I tre pilastri su cui si fonda
la battaglia fra accusa e difesa

Il giudice Amerio, dopo aver ascoltato i consulenti di accusa e difesa, ha ritenuto non fosse necessario procedere ad una perizia da affidare ad un suo tecnico di fiducia valutando così di essere a

Il giudice Amerio, dopo aver ascoltato i consulenti di accusa e difesa, ha ritenuto non fosse necessario procedere ad una perizia da affidare ad un suo tecnico di fiducia valutando così di essere a diposizione di tutti gli elementi utili per arrivare ad una sentenza. Gli elementi entrati in questa indagine della Procura della Repubblica affidata ai carabinieri di Asti, sono davvero tanti, ma è su tre pilastri che finora si è disputata la battaglia fra accusa e difesa, con i consulenti che hanno dato letture diametralmente opposte alle stesse evidenze tecniche e scientifiche: causa della morte, tracce di fango rinvenute sui vestiti di Elena e celle telefoniche.

Il fango sui vestiti non era di casa sua
Su una cosa concordano tutti: Elena è morta nuda. I vestiti che indossava la mattina della scomparsa, il 24 gennaio 2014, sono stati consegnati dal marito ai carabinieri della stazione di Costigliole nella stessa giornata. Su quei vestiti sono state fatte analisi approfondite, soprattutto sullo "sbaffo" di fango sui pantaloni e quella goccia rappresa su una delle due calze (una diversa dall'altra) consegnate da Michele.
Il consulente dell'accusa Andrea Pavan, trattandosi di campioni molto esigui (sei particelle di terreno sui pantaloni e sei/sette particelle sulla calza), ha scelto di adottare una tecnica forense australiana, con l'utilizzo di una microspia elettronica che consente di evidenziare anche minime quantità di materiali. La comparazione di quanto trovato sui vestiti è stata fatta con diversi altri terreni, compreso quello del cortile di casa Ceste-Buoninconti. Ebbene, il dottor Pavan ha concluso dicendo che, "con ragionevole certezza ed elevata probabilità" l'unico terreno compatibile era quello del rio Mersa dove si trovavano fosforo e zolfo che sono stati rinvenuti sul fango degli abiti ma non nell'aia della casa. Di tutt'altro tenore la conclusione della dottoressa Rosaria Di Maggio, consulente della difesa. Ha ribadito in aula che la scienza che studia le composizioni del suolo richiede la presenza di almeno 2000 particelle per definire un campione idoneo ad essere caratterizzato e, in questo caso, con sei particelle si è totalmente al di fuori di questi parametri. Sempre la Di Maggio ha presentato le conclusioni delle sue analisi che hanno preso in considerazione non solo fosforo e zolfo, ma anche altre sostanze come, ad esempio, il carbonio. Sul campione rinvenuti sui vestiti la percentuale di carbonio variava dal 16 al 43% mentre la stessa sostanza era presente per il solo 4% nel campione di terreno prelevato dove è stato rinvenuto il cadavere. Quindi, se si tenesse conto di queste sostanze, non si potrebbe dire che il fango dei vestiti provenisse dal rio Mersa. Affermazioni che il consulente Pavan ha respinto dicendo che non si tratta di elementi fondamentalmente costitutivi del terreno.

Morta strangolata o per il freddo?
Altro punto sul quale si sono scaldati gli animi di accusa e difesa è quello della causa della morte di Elena. Tenuto conto che i resti del corpo non hanno dato una risposta certa a causa del loro avanzato stato di decomposizione, i consulenti si sono divisi su due posizioni opposte. Da una parte l'ipotesi che sia stata uccisa per strangolamento o strozzamento, dall'altra l'ipotesi di una morte per assideramento dopo lunghe ore di delirio psicotico. I dottori Romanazzi e Testi, rispettivamente del pm e della parte civile rappresentata dalla famiglia di Elena, non hanno neppure preso in considerazione l'idea dell'assideramento. Il corpo era adagiato con gli arti lungo il tronco, in posizione composta, le gambe distese e la faccia appoggiata per terra e già questo cozza con l'esperienza di rinvenimenti di morti per freddo quasi sempre in posizione fetale, rannicchiata o, negli altri casi, in posizioni anomale e strane dovute ai movimenti involontari dovuti alle alterazioni di coscienza e alla confusione mentale provocate dall'ipotermia. I consulenti dell'accusa sono concordi nel concludere che la probabilità che la donna sia morte per assideramento in seguito a crisi psicotica sia una su un milione, forse anche di meno. Per loro è stata strangolata o strozzata (una delle morti terribilmente più "veloci") che spiega così anche i tempi molto ristretti nei quali si sono svolti i fatti quella mattina. Per la dottoressa Ursula Franco, incaricata dalla difesa, invece quella della morte per freddo a causa di una crisi psicotica acuta è un'ipotesi assolutamente percorribile che spiegherebbe il denudamento all'uscita da casa sua e quel picchiarsi il volto con i pugni che il marito ha raccontato riferendolo alla notte precedente la scomparsa. «Io credo a quel che Michele ha detto -? ha affermato la Urso -? perchè è confermato anche dai sei confidenti con cui Elena si era aperta nei mesi di ottobre e novembre raccontando il suo disagio e le sue sofferenze».

Quelle chiamate fatte in movimento
Quali sono stati gli spostamenti di quella mattina di Michele? Era davvero andato solo a fare un giro veloce sperando di rintracciare la moglie scomparsa da casa oppure era uscito di casa per andare ad abbandonare il corpo di Elena sul rio Mersa? Fondamentale è stata l'analisi dei tabulati telefonici del telefonino di Michele e di quello della moglie che, quella mattina, hanno registrato un traffico molto particolare. In aula, l'udienza scorsa, c'era solo il consulente della pubblica accusa, l'ingegner Giuseppe Dezzani mentre quello della difesa non è stato ammesso al contraddittorio per il superamento dei termini di deposito della sua relazione. L'ingegner Dezzani ha innanzitutto inquadrato le zone di copertura delle famose due celle, la 415 e la 416, (quest'ultima era quella che serviva la casa dei Buoninconti». Ripetitori che si trovano sullo stesso palo ma che sono orientati in modo da non sovrapporsi: questo, ha detto il consulente, significa che quando si registra un cambio di celle durante una conversazione, sicuramente chi sta parlando al cellulare è in movimento. Perchè questa puntualizzazione? Perchè la difesa, nel tentativo di smontare la ricostruzione dell'omicidio fatto dall'accusa che si sviluppa sul filo dei minuti, ha sostenuto che Michele si trovava ancora dal vicino di casa dopo le 9 di quella mattina, non avendo dunque avuto il tempo per posare il cadavere della moglie nei tempi e nelle modalità individuate dagli investigatori. Ma l'analisi delle celle telefoniche, invece, rileva come il telefono di Michele avesse agganciato alle 9,01 la cella 415, dunque si trovava lontano da casa sua, già in viaggio verso il fondovalle dove favrebbe fatto un lungo giro fino alla discoteca Mediterraneo prima di fare ritorno alla sua abitazione.

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