Da quasi dieci anni combatte per vedersi riconosciuto il suo diritto di “convivente” e dunque di persona sentimentalmente legata all’infermiera morta dopo un intervento chirurgico al ginocchio.
Un diritto che gli dà accesso alla richiesta dei danni morali per la perdita della sua compagna, alla quale era unito nella vita ma senza alcuna “certificazione” ufficiale.
Elio, questo il suo nome, ha provato ancora una volta a far valere i suoi sentimenti in un’aula di tribunale, ma non è stato accontentato.
Una storia complessa, che affonda nel giugno del 2012 quando l’infermiera di 43 anni di origini peruviane Idda Milagros Salas Jaksetic, in servizio all’ospedale di Asti, viene sottoposta ad un intervento ortopedico ad un ginocchio. Un’operazione di routine che invece si trasforma ben presto in un incubo per la donna che viene colta da malore poco dopo essere tornata in camera, va in coma e perderà la vita 14 mesi dopo senza aver ripreso conoscenza.
Per quella morte finì sotto processo l’anestesista dell’intervento chirurgico. In primo grado, al tribunale di Asti, venne assolta e il pm decise di non impugnare la sentenza. Lo ha fatto, per i soli profili civili così come previsto dalla legge, il convivente di Idda, Elio, assistito dall’avvocato Rattazzi, dopo aver chiesto, inutilmente, alla Procura di appellare.
L’udienza si è tenuta nei giorni scorsi e ancora una volta l’uomo ha assistito alla lettura di una sentenza di assoluzione (civilistica) nei confronti dell’anestesista.
«Ho lottato per veder riconosciuto il mio dolore – dice Elio – Con Idda convivevo da fine dicembre 2005, ci amavamo. Abbiamo foto che testimoniano le nostre gite al mare in Costa Azzura, a Lugano al Museo del cioccolato e poi in Grecia, tanto per citarne solo alcune. Non eravamo sposati ma eravamo uniti da un grandissimo sentimento di amore eppure prima ho dovuto lottare per partecipare al processo come parte civile, poi, all’assoluzione dell’anestetista la legge non mi ha consentito di fare ricorso e oggi tutto quel dolore non è stato riconosciuto neppure dalla Corte d’Appello».