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Cronaca

Operazione Drug Queen: le donne della cocaina accettavano pegni, facevano credito e davano rimborsi

Modalità da vere manager per allargare la platea di clienti. Tanto che a volte si creavano “ingorghi” agli appuntamenti per la consegna delle dosi

Le indagini dei carabinieri hanno restituito una non comune “managerialità” delle donne a capo della centrale di spaccio.
Soprattutto la Jeddar (spesso consigliata anche dalle altre “colleghe”) aveva messo in atto una serie di modalità che puntavano principalmente ad allargare sempre di più il giro di clientela.

Dosi “generose” e “su misura”

Intanto con una certa propendenza a “dosi generose”, nel vero senso della parola, come ogni tanto i suoi clienti le riconoscono durante i colloqui telefonici per prendere gli appuntamenti.
Non solo.
Il gruppo di donne faceva anche spesso delle “dosi su misura” a seconda delle disponibilità dei loro clienti.
Se non riuscivano a raggiungere il prezzo standard di 50 euro a dose, la tagliavano a seconda di quanto potevano ricevere in cambio.

Cessioni in cambio di “pagherò”

E poi, cosa più unica che rara nel mondo dello spaccio, il gruppo faceva anche molto credito, ovvero consegnava le dosi dietro promessa di pagamento.
Questa prassi rispondeva ad una precisa strategia di allargamento della platea di clienti. Sempre a differenza di molti altri spacciatori attivi in città, il gruppo di donne non disdegnava di ricevere pagamenti in natura o di prendere cose in pegno in vista del saldo del debito. Fra i pagamenti in natura più strani sono emersi boccioni di olio di oliva, una bicicletta, il telefono cellulare del padre di un cliente e una semicomica trattativa cresciuta nel corso di numerose telefonate alla fine della quale la Jeddar ha consegnato una dose in cambio di 20 euro, tre bottiglie di alcolici e qualche birra portata a domicilio.

Dosi in cambio di uso dell’auto del cliente

In qualche caso gli spacciatori chiedevano in cambio della consegna di una dose, l’uso dell’automobile del cliente fino a quando non avesse saldato il conto.
In un caso era stato proposto anche un “rimborso” per una dose probabilmente di pessima qualità che aveva fatto stare particoalrmente male il tossicodipendente cui era stata venduta.

Telefonate senza prudenza

Anche se il lavoro dei carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile per chiudere questa inchiesta è stato rilevantissimo, a favore degli inquirenti vi è una scarsa attenzione ai termini utilizzati nei contatti telefonici fra clienti e spacciatori.
O meglio. Le donne che ricevevano le “commesse” erano molto prudenti e utilizzavano molti sinonimi e parole in codice per spiegarsi, ma erano i clienti, spesso in condizioni disperate di astinenza a lasciarsi andare chiedendo esplicitamente la droga e chiamandola con il suo nome.
Tanto che in molte occasioni le spacciatrici riprendevano severamente, anche al telefono, i loro interlocutori chiedendo di non essere così chiari nelle richieste.

Nome in codice: bambini, rose, birre, dottore

E tante erano le parole in codice usate per spiegarsi anche se il susseguirsi di telefonate e di appuntamenti per le consegne era così vorticoso, dato l’alto numero di clienti “gestiti”, che qualche volta era difficile mantenere la prudenza.
Una delle parole in codice più usate era “bambini” o “bimba”, parola molto assonante con il nome in gergo della cocaina che è “bamba”.
Non a caso è stata scelta, visto che le donne gestivano la loro attività di spaccio anche di fronte ai figli e dunque una frase intercettata dalle forze dell’ordine poteva essere manipolata a loro favore.
Ma erano tanta la fantasia messa per coprire i veri oggetti degli appuntamenti e delle consegne: si va dalle “rose rosse” in pronta consegna all’”arriva il dottore” per indicare la partenza di uno dei corrieri locali per la consegna a domicilio. E poi le dosi e le mezze dosi erano chiamate “birre” o “mezze birre” fino al più romantico “ho un bel pensiero per te, se vieni sotto casa te lo sporgo”.

Dosi gettate dal balcone

Migliaia le cessioni di dosi documentate dai carabinieri tanto che in alcuni momenti si creava un vero e proprio ingorgo davanti all’ingresso di corso Volta o sui marciapiedi di corso Casale dove veniva dato appuntamento per le consegne.
In alcuni casi, poi, a causa dell’assenza momentanea di “collaboratrici” che potessero scendere in strada a consegnare, le dosi venivano gettate direttamente dal balcone e raccolte dal cliente sul marciapiede.

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