In mezzo a tanto parlare di cinghiali, una singolare vicenda che li riguarda da vicino ha iniziato il suo iter processuale davanti al tribunale di Asti.
Imputato è un uomo di Rocca d’Arazzo, difeso dall’avvocato Cristina Preti, sul cui terreno di circa 7 ettari intorno alla sua abitazione erano stati contati circa una sessantina di cinghiali o incroci di essi con i maiali.
E per questo è stato accusato di aver messo su un allevamento di cinghiali non autorizzato e, soprattutto pericoloso per il territorio circostante perché chiuso da un recinto con alcune falle dalle quali entravano e uscivano..
Diversa è la versione dell’imputato, che ha sempre spiegato di aver recintato una vasta area della sua proprietà per tenere tre maiali che aveva piacere di allevare.
Una affermazione che trova conferma nella testimonianza del maresciallo della Forestale. A nome dell’imputato era infatti stata rilasciata un’autorizzazione da parte della Provincia per detenzione di maiali per autoconsumo.
Ma, dice l’imputato, alcuni cinghiali selvatici erano riusciti a fare un “buco” nella rete e ad entrare nel suo recinto, cominciando ad incrociarsi con i suoi maiali e proliferando in poco tempo.
Attirati anche dal fatto che lui o chi per lui andasse regolarmente ad alimentare le mangiatoie dei suoi maiali.
Una situazione che è sfuggita presto di mano e che ha portato ad alcune segnalazioni alla Forestale che hanno compiuto il sopralluogo, nel dicembre del 2019, insieme al servizio veterinario dell’Asl di Asti.
Trovati i 60 cinghiali, è stata elevata una multa a carico del proprietario del terreno ed è stato denunciato.
«Una tale concentrazione di cinghiali è un pericolo sia per il rischio di invasione ed attraversamento della vicina strada provinciale – ha detto il maresciallo della Forestale – sia perché possono essere vettori della temuta peste suina che decimerebbe gli allevamenti di suini nei paraggi».
Ma, al di là della vicenda giudiziaria, non si è andati oltre. Perché all’epoca del sequestro dell’allevamento abusivo di cinghiali, così come era stato classificato, era stato intimato all’uomo di provvedere ad abbattere gli animali entro 90 giorni, trascorsi i quali, se non l’avesse fatto, sarebbe intervenuta la Provincia rivalendosi poi su di lui.
Sono passati due anni e di capi ne sono stati abbattuti solo 4, nell’immediatezza della denuncia.
Poi più nulla e continuano a pascolare nell’appezzamento dell’uomo sotto processo, entrando e uscendo dalle falle del recinto che nel frattempo si sono moltiplicate. Così come si sono moltiplicati gli esemplari di cinghiali e di “incroci” con i “suidi” nati dall’accoppiamento dei maiali allevati con i primi selvatici arrivati.
Unità cinofile
- 13 Ottobre 2024
- Redazione