«Dovevo andare in pensione a giugno, invece, con ogni probabilità, non solo mi ritroverò senza pensione, ma anche senza un lavoro e senza uno straccio di ammortizzatore sociale e tutto questo per aver seguito le indicazioni dell'Inps che in un primo tempo ha giudicato regolare la mia domanda, quindi ha ritrattato, riconoscendo un errore per il quale, però dovrò pagare io».
E' questo in breve l'amaro sfogo di Silvana Agagliati, villanovese ora residente…
«Dovevo andare in pensione a giugno, invece, con ogni probabilità, non solo mi ritroverò senza pensione, ma anche senza un lavoro e senza uno straccio di ammortizzatore sociale e tutto questo per aver seguito le indicazioni dell'Inps che in un primo tempo ha giudicato regolare la mia domanda, quindi ha ritrattato, riconoscendo un errore per il quale, però dovrò pagare io». E' questo in breve l'amaro sfogo di Silvana Agagliati, villanovese ora residente a Chieri, ex impiegata della Util di Villanova, vittima di una vicenda a dir poco kafkiana, dove la parte del carnefice la fa niente meno che l'Inps di Chieri.
E' l'ente infatti che nel 2004 chiede il versamento di 4.959 euro e 13 centesimi a fronte di una domanda presentata dall'Agagliati, per riscattare tre anni di contributi agricoli risalenti al periodo 1972-75. Lo stesso ente richiede poi nel 2007 un'ulteriore integrazione per altri 396 euro e 68 centesimi, con una lettera che attesta l'accoglimento della domanda: «Si comunica che la domanda in oggetto è stata accolta», questo l'incipit della missiva dell'Inps di Chieri inviata il 2 ottobre 2007 all'interessata che, ovviamente, provvede a pagare anche la piccola differenza richiesta in aggiunta. Tutto bene, o quasi.
Passano altri due anni e nel 2009, a seguito della crisi mondiale che va ad espandersi a macchia d'olio in tutti i settori la Util di Villanova inizia a risentire dell'andamento negativo dei mercati e poco per volta denuncia una serie di esuberi che pilota verso il prepensionamento, grazie anche agli ammortizzatori sociali. In un primo tempo la nostra protagonista soprassiede. Per l'azienda in fondo ha un certo attaccamento anche affettivo e il lavoro non le dispiace, ma nel 2011, non risolvendosi la situazione aziendale, decide di tentare l'esplorativa per il prepensionamento.
Anche in questo caso è l'Inps di Chieri a certificare la sua posizione, conteggiando nell'elenco dei contributi versati anche quelli di fatto riscattati tra il 2005 e il 2007. La nostra signora può pensare ad un'uscita finalizzata al pensionamento, previo due anni di mobilità accessoria, questo quanto le dicono dall'Inps e Silvana Agagliati si decide ad intraprendere la strada del licenziamento finalizzato alla pensione, previo due anni di mobilità, che però non passerà interamente a casa: chiamata a prestare lavoro socialmente utile presso un centro diurno di assistenza ai malati di Alzheimer, opera presso la struttura assistenziale da ottobre 2012 a ottobre 2013.
Il 27 novembre 2013 arriva la prima doccia fredda, quasi un regalo di compleanno al contrario, se consideriamo che la signora è nata il 24 novembre: l'Inps richiede una certificazione aggiuntiva sul periodo di contribuzione agricola, negando il valore di quanto in precedenza ricevuto e accettato. La signora spiega la sua posizione, si reca in Comune, effettua ricerche presso l'Agenzia delle Entrate di Asti, l'Archivio di Stato, la Camera di Commercio, la Coldiretti, insomma, tenta tutte le strade, ma la documentazione richiesta non è producibile e così il 26 marzo scorso l'Inps comunica il rifiuto della domanda di pensionamento e contestualmente, con due righe battute al computer, annulla i provvedimenti emessi in data 20 ottobre 2005 e 28 agosto 2007, con i quali lo stesso ente dichiarava accettata la domanda.
«Se non fosse che la prospettiva che ora mi si apre davanti è quanto meno tragica – spiega l'interessata – ci sarebbe da ridere. Ma come si può ridere quando ti guardi indietro e sai di aver lasciato, di fatto volontariamente, un buon impiego a tempo indeterminato, sia pur in tempi di crisi, fidandoti di quanto ti era stato certificato da un ente pubblico che ti assicurava l'acquisizione della pensione con due anni di mobilità preventiva ed ora, quando ti mancano pochi mesi dalla data stabilita, ti comunica che c'è stato un errore. Si stava scherzando? Si stava scherzando, sì, con la mia vita. Ho ancora diritto ad un anno di mobilità ma in ogni caso a questo punto la mia data di pensionamento si sposta avanti di altri tre anni, a patto che per il periodo 2015-2017 io versi almeno i contributi ulteriormente mancanti: circa 25.000 euro, senza contare che in tale periodo sarei del tutto disoccupata e priva di ammortizzatori sociali. L'alternativa è una pensione nel 2026, cioè 11 anni dopo, anche qui senza un lavoro né uno straccio di ammortizzatore che mi garantisca un minimo di sussidio».
La signora spera che qualcosa cambi prima dello scadere del periodo di mobilità, ma intanto ha dovuto affidarsi ad un avvocato, riprendere a cercare, a 55 anni compiuti, un improbabile nuovo lavoro e soprattutto ha iniziato a dormire meno, molto meno, pensando al suo futuro, ad un passo dal traguardo che qualcuno gli aveva garantito dall'alto di una posizione ufficiale di questi tempi incerta e traballante come tutto il resto del sistema.
Franco Cravero