Solo un altro imputato del processo di usura che si sta tenendo al tribunale di Asti ha acconsentito a sottoporsi all’esame incrociato di pm, avvocati e giudici. E, come avevano già fatto gli altri che li avevano preceduti, ha negato di aver prestato soldi con interessi altissimi alla famiglia albanese che li ha portati tutti sui banchi degli imputati.
A parlare in aula Khresnik Nikolli. Ha raccontato di aver conosciuto il figlio più giovane della famiglia che li ha denunciati perché quasi coetaneo ma che non si erano mai frequentati molto. Solo dal 2016 si erano ritrovati al bar del ragazzo. «Non gli ho mai prestato soldi – ha detto in aula – nemmeno quei 10 mila euro che leggo nel capo di imputazione. Gli prestai invece la mia auto di allora per un viaggio in Albania che il ragazzo voleva fare. E andammo regolarmente dal notaio per fare un atto che certificasse che era in regolare possesso della vettura per poter attraversare la frontiera. E non gli chiesi niente in cambio. Quando me la restituì, l’auto recava dei danni, lui mi promise di risarcirmi ma non lo fece mai. Un po’ di tempo dopo si fece avanti con la sorella per acquistarla. Avevamo pattuito circa 24 mila euro che mi avrebbero dato in due o tre rate. Io consegnai l’auto con tanto di voltura, ma non vidi mai un soldo».
Di qui l’imputato fa originare le richieste di denaro che sono contenute nelle indagini. «Mi promettevano sempre il pagamento ma non arrivava mai. Un anno dopo la sorella mi restituì l’auto perché mi disse che non poteva pagarmela e mi fece un bonifico da 8 mila euro per averla usata un anno e per alcuni danni riportati». Lo stesso Nikolli ha detto di essere stato lui, invece, a chiedere soldi al fratello per un affare di compravendita auto che però non andò in porto. «E io restituii quei soldi a loro». Sempre senza interessi da parte di nessuno.
Al pm Greco che gli chiedeva la provenienza degli oltre 22 mila euro in contanti trovati in casa, l’imputato ha risposto dicendo che erano frutto della vendita di un’auto, di una vincita al gioco e di un indennizzo di assicurazione. «Io non ho mai minacciato nessuno, non ho mai mancato di rispetto alla ragazza e non ho mai preso un Rolex da lei» ha risposto alla domanda del suo difensore, avvocato Rattazzi.
Facendo poi una dichiarazione spontanea, fra le lacrime: «Ho moglie e due figli di 3 e 5 anni a casa. Lei non lavora perché non è in regola con i documenti. Io sono detenuto da 9 mesi. Come può sopravvivere la mia famiglia?».
Alla stessa udienza era previsto anche l’interrogatorio di un altro imputato, Alfons Peraj che però ha scelto di non sottoporsi all’esame affidando al suo difensore, l’avvocato Caranzano, due pagine di dichiarazioni spontanee. Ha dichiarato di non aver mai prestato soldi alla ragazza ma di conoscerla ed esserle amica, tanto da aver garantito per lei un prestito di 20 mila euro erogato dal suo datore di lavoro. Ma quei soldi, secondo le dichiarazioni dell’imputato, non vennero mai restituiti e il suo datore di lavoro si rivalse su di lui trattenendogli degli stipendi e il TFR.