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Cultura e Spettacoli
Intervista

Massimo Cotto: «Caro Francesco, ti parlo del rock»

Esce oggi il nuovo libro del giornalista e conduttore radiofonico astigiano: «E’ un monologo in cui racconto a mio figlio, e a tutti gli adolescenti, il significato di quel genere musicale»

É disponibile da ogi (venerdì), in libreria e on line, “Il rock di padre in figli*” (Gallucci Editore), il nuovo libro di Massimo Cotto, giornalista, critico musicale e conduttore radiofonico astigiano (conduce “Rock & Talk” su Virgin Radio con Maurizio Faullisi e Antonello Piroso).
Pagine in cui si rivolge a suo figlio sedicenne – e con lui a tutti i ragazzi di oggi – per raccontare il rock, i suoi riti e la sua bellezza, la ribellione e l’estasi. E al cui interno sono stati inseriti due QR Code per ascoltare, su Spotify e Youtube, le canzoni più belle di cui parla nel libro.
Massimo, l’idea di questo libro è nata in famiglia…
Partiamo dal presupposto che mio figlio Francesco Danilo ha avuto un’infanzia e un’adolescenza un po’ particolari, in quanto sia io sia mia moglie (l’attrice Chiara Buratti, ndr) svolgiamo attività atipiche, che peraltro lui non ha mai considerato lavori. Noi non abbiamo mai voluto condizionarlo e Francesco si è formato i suoi gusti che vanno da De André a Carosone, da Paolo Conte al rock e a ciò che piace alla sua generazione.
Ho comunque notato che gli adolescenti di oggi sanno molto poco di rock. Per quanto riguarda la mia generazione faceva parte del bagaglio culturale, permeava anche coloro che non lo amavano particolarmente. Oggi è tutto diverso. La società si è frammentata. I giovani, se devono esprimersi, scelgono come prima forma di rappresentazione della loro visione del mondo la trap o il rap e dopo il rock.
L’idea, quindi, era quella di provare contemporaneamente a spiegare a lui cosa il rock aveva rappresentano per alcune generazioni e, all’opposto, riassumere per tutti noi adulti, che lo abbiamo conosciuto bene, cosa è stato e cosa è ancora, come fosse un piccolo Bignami.
Come si presenta il libro?
E’ una lunga lettera in cui mi rivolgo a mio figlio e racconto storie per far capire, nel modo più semplice possibile, cosa il rock è stato per tutti noi: non solo un genere musicale, ma anche un piccolo pezzo di vita.

L’amore per il rock

Lei quando si è innamorato del rock?
E’ successo quando, da ragazzo, ho ascoltato casualmente una canzone di Bruce Springsteen, “Thunder Road”. Il rock, dopo il basket, è riuscito a darmi un senso di appartenenza. Ha rappresentato una squadra, una famiglia, un sogno, qualcosa che metteva a letto e svegliava la mattina.
Ricordo, in particolare, un episodio riferito al periodo in cui ho vissuto a Londra. Era il 1981, la città non mi aveva colpito, mi mancava la mia famiglia, faceva freddo in casa. Allora ho aperto l’acqua del bagno, ho acceso la radio a transistor nera e ho ascoltato un brano che usciva proprio quel giorno: “Under Pressure” di David Bowie e i Queen. Improvvisamente è un po’ cambiato tutto, come fosse arrivato il sole all’improvviso. Il rock, infatti, era in grado di darti le risposte anche quando non facevi le domande.
Naturalmente è anche una forma di divertimento e bellezza, non deve spingere sempre a interrogarsi sulla parte più profonda di se stessi. Però io l’ho sempre considerato più di un genere musicale.
Nel libro racconta storie di grandi artisti simbolo di questo genere. Come li ha selezionati?
Intanto ho dovuto fare un po’ di storia, raccontando anche i vari contesti sociali in cui il rock si è sviluppato, per poi parlare degli artisti più significativi dagli anni Cinquanta ad oggi, quindi da Elvis Presley ai Maneskin.
A volte sono presenti cenni biografici, ma non è una storia in senso cronologico: è un monologo in cui “mi siedo accanto a mio figlio” e gli racconto cosa è il rock.

Gli aneddoti

Aneddoti che racconta perché vissuti in prima persona?
Ho ricordato il famoso concerto di Bob Marley del 1980 a San Siro cui avevo assistito. Noi ragazzi di allora amavamo artisti e gruppi differenti, ma su Bob Marley eravamo tutti d’accordo. In realtà conoscevamo pochissime sue canzoni, per cui aspettavamo che proponesse “No woman no cry”. Quando è arrivata come decimo brano ci siamo abbracciati, è venuto spontaneo. Lo cito quindi come esempio di come una canzone possa unire tutti. Il senso del rock è anche questo: spingere ad avere un contatto con sconosciuti che, in quel momento, sono importanti come fratelli.
Suo figlio ha già letto il libro in anteprima?
Non ancora, voglio che lo legga quando uscirà in libreria, optando per la versione cartacea.
Presentazioni ad Asti?
Ne parlerò venerdì 10 novembre alle 18 alla Piccola libreria indipendente di corso Alfieri 241.

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