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Attualità
Convegno del PD

Asti, campo rom: chi fa la prima mossa?

Da oltre 35 anni si cercano soluzioni fattibili per risolvere i problemi di via Guerra – Botta e risposta tra Comune e Regione

Parlare di campi nomadi ad Asti significa incamminarsi su un terreno molto accidentato, specie se a farlo è uno dei tanti partiti che ha governato la città, nel recente passato, affrontando le criticità delle aree occupate dai nomadi, ma senza risolverle definitivamente. Il Partito Democratico di Asti ha voluto affrontare l’argomento in un convegno on line nel quale non ci si è limitati a raccontare il passato, ma anche a immaginare un futuro con qualche soluzione al problema.

“I campi nomadi ad Asti: questione irrisolta tra integrazione e pregiudizi”, questo il titolo dell’incontro, non ha voluto addossare colpe a un’amministrazione in particolare (sebbene è stato ricordato dalla consigliera comunale Maria Ferlisi, già assessore ai servizi sociali, che si parla di una questione irrisolta da 35 anni), ma comprendere come sia stato possibile arrivare a una situazione così disastrosa, almeno nel campo rom di via Guerra. Talmente complessa, in negativo, che è intervenuto il nuovo questore di Asti Sebastiano Salvo per dettare la strada per uscirne: chiudere il campo e bonificare il terreno.

Ferlisi ha ricordato gli investimenti fatti nel corso del tempo, le bollette non pagate dai nomadi (nel 2019 si calcolavano morosità per 630.000 euro), fino alle recenti dichiarazioni del vice sindaco Marcello Coppo che ha annunciato l’intenzione di chiudere il campo rom invitando le famiglie (tutte occupanti senza titolo da anni) a trovarsi una casa, magari una cascina in campagna, e lì trasferirsi. Però lasciare che le famiglie rom si disperdano sul territorio, magari nei Comuni limitrofi, non piace a molti sindaci che hanno chiesto l’intervento del Prefetto per mediare con il Comune di Asti una soluzione alternativa. Questo è successo alcune settimane fa e qui la macchina si è un po’ ingolfata: i sindaci chiedono ad Asti di tenere i rom sul territorio comunale; Coppo ha domandato ai sindaci di contribuire ai costi di un eventuale progetto in tal senso, ma non si è ancora capito quale area dovrebbero acquistare i rom per costruire le loro nuove abitazioni creando un insediamento residenziale nel rispetto di tutte le norme urbanistiche. Nel frattempo si guarda anche alla creazione di una zona di accoglienza temporanea, un campo gestito dalla Croce Rossa, per dare tende e riparo solo a quelle famiglie rom che non trovino una casa prima dello sgombero di via Guerra.

«Metà dei residenti del campo rom avrebbe acquistato una casa o ne possiede una e certo non possiamo impedire loro di andarci a vivere – commenta Coppo – Per la questione del terreno che si dovrebbero acquistare, stiamo aspettando di sapere dalla Regione se sia possibile cambiare la destinazione d’uso, ma non abbiamo ancora stabilito dove potrebbero andare». Ma dalla Regione è il vice presidente Fabio Carosso, che ha anche la delega all’urbanistica, a replicare a Coppo: «Io dal vice sindaco Coppo non ho ricevuto nulla, né un documento, né una proposta su cui lavorare. Se il Comune non ci dice qualcosa di concreto, quale terreno dovrebbe essere utilizzato e dove si trovi, non possiamo fare nulla. Siamo disponibili, ma non tocca a noi fare la prima mossa».

A quanto si sa, un terreno dove potrebbe sorgere l’eventuale nuovo insediamento residenziale delle famiglie rom potrebbe essere nei pressi di Quarto, tra gli impianti di GAIA e il carcere. La tendopoli temporanea gestita dalla Croce Rossa, se dovesse essere allestita, potrebbe finire nella stessa zona, oppure altrove. Coppo non si sbilancia.

A sbilanciarsi è stato invece l’ex assessore ai servizi sociali del Comune, Piero Vercelli (Giunta Brignolo) nel dire che per affrontare la questione «bisogna andare oltre l’emergenza dandosi una visione e la capacità di anticipare i tempi». «C’è un problema abitativo, ma anche di minori – ha ricordato Vercelli nel convegno – Ma credo che se un minore ha problemi è perché c’è un adulto che ne ha di più. Inoltre occorrono politiche di sostegno al nucleo familiare, nel rispetto delle legalità: spesso i campi sono messi in periferia, in posti non belli, e questo rende molto più difficile rispettare i luoghi. Chiediamoci perché ad Asti siano arrivate due etnie diverse, rom e sinti. Perché a suo tempo arrivarono importanti contributi dallo Stato per chi li avesse accolti ed è stato deciso di parcheggiarli lì».

Sulla questione del rapporto di convivenza con la popolazione è intervenuto il professor Pietro Cingolani dell’Università di Torino che ha puntato l’attenzione sul mondo della scuola in generale: «È vero che bisogna guardare alla scolarizzazione, ma quali scuole abbiamo oggi? Quali sono preparate a gestire la complessità sociale, non solo dei rom, ma anche di tutti gli altri studenti? I bambini stanno male a scuola se la stessa non è capace a riconoscere la loro identità».

Il Dado di Settimo Torinese

Al convegno organizzato dal PD è stato invitato anche il sindaco di Settimo Torinese, Elena Piastra, per parlare di un progetto che, nel suo comune, aveva portato un buon risultato in termini di integrazione tra una decina di famiglie rom e il resto della popolazione. Il progetto si chiamava DADO e venne promosso nel 2008 dall’associazione Terra del Fuoco. L’idea del DADO era stata quella di recuperare una grande casa, di proprietà pubblica (ma non una palazzina dell’ATC) per accogliere un numero di famiglie rom disposto a lasciare il campo nomadi e inserirsi, gradualmente, in un contesto abitativo e sociale ordinario. A monte del progetto c’era l’autorecupero, «motore fondamentale della responsabilizzazione delle famiglia rom».

Il Dado di Settimo Torinese

Ma c’erano anche diverse regole, condivise e non imposte, necessarie per organizzare una convivenza nel rispetto degli altri e nella piena legalità. Il sindaco Piastra ha infatti ricordato che, per accedere al progetto DADO, «i capofamiglia dovevano dimostrare di avere un lavoro e un reddito, anche minimo, che garantisse il pagamento di un piccolo affitto; i bambini dovevano frequentare la scuola dell’obbligo e, chiaramente, nessuno doveva delinquere pena la perdita del diritto di stare nel DADO». Un educatore aveva deciso di vivere nello stesso stabile, con le famiglie rom, per accompagnare i soggetti coinvolti in un processo di integrazione. Un iter lungo, non sempre facile, ma per diversi di loro con esiti positivi: «Una signora – ha ricordato Piastra – è uscita da DADO dopo 10 anni, quando il progetto è stato chiuso, e ha acquistato una casa riuscendo a mandare i figli a scuola evitando, così, di farli tornare nel campo. Alcuni sono tornati indietro, ma DADO ha rappresentato un percorso intermedio che è stato possibile grazie all’atto coraggioso del sindaco di allora Aldo Cogiat».

DADO si è concluso per vari motivi, tra cui i costi che non potevano più essere sostenuti solo dall’associazione e dal Comune, ma il format ha dimostrato di essere funzionale perché non si trattò di trasferire delle famiglie nomadi da un luogo a un altro, bensì inserirle in un percorso di inclusione sociale con diritti e doveri condivisi.

Ma, come evidenziato durante il convegno da Vojislav Stojanovic, 25 anni (Opera Nomadi Piemonte) «l’integrazione nasce dalla scuola». «Io non sarei mai andato all’università se non fossi uscito dal campo e non avessi frequentato la scuola». Lo stesso ha poi evidenziato quanto pressapochismo ci sia nel definire qualcuno “rom”: «Dire rom equivale a dire tutto e nulla – ha spiegato – perché stiamo parlando di tante culture diverse che hanno tanti elementi in comune e altri distintivi. Quello che occorre, per andare oltre i campi nomadi, è una cooperazione politica indispensabile per attuare questi progetti».

L’Unione Europea ha chiesto ai Paesi membri di superare i campi nomadi entro il 2024. Una data già posticipata rispetto al 2020 che, oggettivamente, non era parsa molto credibile ai Comuni interessati dalla questione. Asti aveva anche predisposto una bozza di Piano sociale per andare oltre i campi di via Guerra e Vallarone, ma il costo stimato ammontava a 2 milioni di euro che il Comune non ha e difficilmente potrà mai spendere.

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Una risposta

  1. Si parla tanto …tanto….dei rom ok! Mi sta bene xché anche loro sono esseri umani…giustissimo… una cosa fondamentale ( sia da codice civile e penale) stessa uguaglianza di DIRITTI E DOVERI ….. peccato solo …(parlo per tantissimi italiani/stranieri al fatto di aiuti Anticovid) maggior parte famiglie intere di commercianti e anche non che lottano x sopravvivenza di tutti i santi giorni PAGANDO in modo salato comuni,regioni e soprattutto a riguardo dei nostri amati malgoverni affamati solo a livello economico e nessuna preoccupazione per le persone ONESTE. ringrazio anticipatamente per eventuale risposta in merito!

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