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Attualità

Degrado e inciviltà: ad Asti c’è un problema culturale enorme

Perché ci sono persone che lasciano per strada ogni genere di rifiuti? Come si può fermarle? La teoria “delle finestre rotte” calza perfettamente alla città

Asti: degrado e inciviltà in crescita

In pandemia o senza, Asti ha un problema che non sa risolvere e che continua a lasciare tracce evidenti da un quartiere all’altro. Degrado e inciviltà stanno contagiando una città che punta al rilancio guardando (anche) al turismo.

Ma è lecito chiedersi che tipo di città si intenda offrire ai turisti perché basta girarsi attorno per capire che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe. E non è solo un problema di manutenzione delle aree pubbliche, di cui c’è estremo bisogno. E’ un problema di degrado culturale che dovrebbe preoccupare tutti, specie gli amministratori ai quali i cittadini “rispettosi dei beni comuni” chiedono di intervenire in maniera più incisiva.

Sui social la discussione è quotidiana, le denunce sono all’ordine del giorno, ma se è facile accusare l’amministrazione di non fare abbastanza per limitare questi episodi, raramente si leggono soluzioni pratiche ed efficaci.

Solo pochi giorni fa il sindaco Maurizio Rasero ha fatto presente cosa sta succedendo nella zona del Tribunale, vicino a piazza San Giuseppe, dove gruppi di giovanissimi, dotati di auto, si fiondano nottetempo per incontrarsi, bivaccare, bere birra e naturalmente lordare il suolo pubblico senza preoccuparsi di gettare i rifiuti nei cestini a pochi metri da loro. Ennesimo esempio di mancanza di cultura e rispetto degli altri.

Ma non è solo lì il problema. Tra domenica e martedì, girando per le strade della città che attende il ritorno dei turisti, c’era da spaventarsi per le scene di degrado sparse a macchia di leopardo. Niente di nuovo sotto il sole, sebbene oggi il caso sia ancora più grave perché l’abito non farà il monaco, ma aiuta a farsi un’idea e se i turisti trovano una città degradata, non tornano, non consigliano di visitarla e fanno cattive recensioni sul web.

Quando ci si imbatte in vere e proprie discariche abusive a fianco dei cassonetti dei vestiti usati, in pieno centro (un problema già segnalato più volte e mai risolto), c’è poco da stare tranquilli. Chi abbandona quei rifiuti agisce con la consapevolezza di farla franca, quindi continuerà nel suo intento e la collettività continuerà a pagare pulizie straordinarie se non vere e proprie bonifiche ambientali (il caso del cavalcavia Giolitti è esemplare).

Un problema che riguarda tutti i quartieri

Dalla zona del parco Biberach a via Monti, da corso Casale a corso Torino, la città ha bisogno di essere curata per essere turisticamente appetibile. Se molte fermate degli autobus hanno le pensiline ai minimi termini, rotte e fatiscenti, è senza dubbio colpa dei soliti vandali, che probabilmente non sono mai stati identificati; ma confermato il problema ci sono solo due opzioni: riportarle a un decoro accettabile, oppure eliminarle del tutto. Tenerle in quello stato di totale abbandono è una scelta che non solo va in conflitto con l’idea di città turistica, ma potrebbe convincere qualcuno a commettere ulteriori atti di vandalismo e inciviltà.

In effetti cosa spinge una persona ad abbandonare in corso Gramsci un materasso contro un muro? E un’altra a lasciare parte del mobilio a ridosso di un giardino? Ultimamente c’è stato un gran discutere sul progetto di riqualificazione del sottopassaggio Marconi, da sempre un “non luogo” abbandonato a se stesso. E’ giusto riqualificare zone come quelle, meglio se con progetti di interesse sociale, ma resta il problema della cultura e dell’educazione che manca a molti cittadini.

D’altro canto se i volontari del parco del Borbore sono entrati in sciopero (poi revocato) perché pochi gruppetti di utenti si permettono, impunemente, di insultare chi cerca di far rispettare le regole, e se gli stessi prepotenti non perdono occasione di buttare per terra ogni rifiuto, infischiandosene delle telecamere di sorveglianza poste a poche decine di metri da loro, abbiamo la conferma che occorre invertire velocemente la rotta.

La teoria delle “finestre rotte”

Perché il degrado è come un cancro che si espande, poco per volta, e alla fine rischia di uccidere il paziente. Dall’ex ospedale all’ex maternità, dai parcheggi ai marciapiedi (dove ora sono spuntate le mascherine usate, come se non bastavano le cicche, le deiezioni canine e le immancabili erbacce), dai parchi più centrali alle zone frazionali, occorre cambiare passo e, magari, inventarsi una nuova formula di cura dei beni comuni.

Qualcosa si sta muovendo per la manutenzione delle panchine attraverso le associazioni di volontariato che dovrebbero “adottarle”, chiaramente non tutte, per garantirne pulizia e funzionalità. Ma c’è molto altro da fare.

La teoria delle “finestre rotte” calza perfettamente al caso astigiano e non fa una piega: “Mantenere e controllare ambienti urbani reprimendo i piccoli reati, gli atti vandalici, la deturpazione dei luoghi, il bere in pubblico, la sosta selvaggia o l’evasione nel pagamento di parcheggi, mezzi pubblici o pedaggi, contribuisce a creare un clima di ordine e legalità e riduce il rischio di crimini più gravi. Ad esempio l’esistenza di una finestra rotta (da cui il nome della teoria) potrebbe generare fenomeni di emulazione, portando qualcun altro a rompere un lampione o un idrante, dando così inizio a una spirale di degrado urbano e sociale” (cit. Wikipedia).

Più chiaro di così.

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