Nella petizione che sta girando, il Comitato Coaarp offre qualche suggerimento: dalla gestione professionale del contenimento da parte degli enti pubblici che ne hanno la responsabilità all’utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche che devono tendere a risolvere il problema, senza limitarsi al mero indennizzo dei danni (peraltro del tutto insufficienti per sostenere i ricavi perduti degli agricoltori).
Proprio sulla questione del “ristoro” dei danni vi è un capitolo importante che riguarda una maggiore precisione nel calcolare la dimensione del fenomeno. Oggi gli agricoltori, a distanza di anni, vengono risarciti dei costi della sola semina e lavorazione del terreno, mentre chiedono che vengano tenuti in considerazione i reali costi di produzione delle colture compresi tutti quelli che le aziende affrontano per acquistare le attrezzature che funzionano da deterrente agli ingressi dei cinghiali nei campi coltivati.
In molti contrari alla filiera di carne di cinghiale da più parti invocata (in primis dalla Provincia di Asti e dalla Regione). Questo, secondo il Comitato, non farebbe che legittimare l’aumento della popolazione degli ungulati selvatici a scopi economici e, inoltre, gli allevatori temono una “concorrenza” nella vendita di carne, già fortemente penalizzata dalle lunghe chiusure dei ristoranti.
Anche sull’autodifesa si levano molte voci discordanti. Intanto perché non tutti vogliono prendere il porto d’armi, per questioni di costi ma anche per limiti etici e fisici. Poi questo tipo di caccia sottrae tempo all’attività primaria di coltivazione o di allevamento tenendo conto che è impensabile che un agricoltore passi tutta la sua giornata nei campi e di notte ci torni per abbattere i cinghiali.
I più estremisti invocano un piano straordinario che preveda l’impiego dell’esercito per una campagna di abbattimenti straordinaria mentre i più moderati, la maggioranza, cerca disperatamente delle soluzioni, anche solo nell’immediato, per salvare i raccolti.
Molti di loro hanno investito nei recinti elettrificati, ma non tutti ne sono soddisfatti: un po’ perché sono costosi, un po’ perché vengono rubati, un po’ perché non sempre sono così efficaci contro i cinghiali. Chi non se la sente ancora di fare questo investimento ha preso a “fettucciare” i campi con paletti e nastro di plastica: un deterrente blando, che vale fino a quando il cinghiale non comprende che quel filo che si muove non è in grado di trasmettergli elettricità ma che, si spera, duri almeno il tempo di far crescere un po’ le piantine.
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- Redazione