Altro step giudiziario per una delle storie di violenza sessuale più gravi che il tribunale di Asti si sia trovato a punire.
E’ quella che ha riguardato Miguel, il ragazzo transessuale di 19 anni che nell’aprile del 2017 fu vittima di una brutale aggressione sessuale ai giardini Alganon all’altezza di piazza Roma.
Molto preciso il suo racconto terribile: si trovava ai giardini quando è stato avvicinato da un gruppo di uomini che hanno cominciato a deriderlo per il suo abbigliamento e per il suo atteggiamento. Tanti contro uno solo, un ragazzino minuto e spaventato che si è preso le offese senza reagire, come, nel tempo, aveva imparato a fare per difendersi.
Ma quella sera non finì solo con la, seppur esecrabile crudele, presa in giro di un gruppo di omofobi.
Quando il gruppo si allontanò, uno di loro tornò indietro, lo spinse contro un muretto e lo aggredì pretendendo un rapporto sessuale che Miguel non aveva nessuna intenzione di intrattenere. Si trattò di un’aggressione sessuale vera e propria cui il ragazzo riuscì a sfuggire con molta difficoltà, tanto che sul postorimasero ciocche di capelli, un paio di occhiali e una manciata di biglietti da visita di un locale pubblico del quale l’aggressore era socio.
L’aggressore, poi identificato in Simon Ioan Razvan, faceva della sua fisicità un punto d’onore e sul profilo Facebook si definiva un vero “maschio Alfa”.
Quel terribile episodio ai giardini Alganon aveva lasciato una profonda ferita nell’anima di Miguel, già preda delle difficoltà di accettazione della propria sessualità.
Al processo di primo grado ad Asti la madre aveva raccontato che da quella sera Miguel aveva smesso di uscire con gli amici, non sempre si presentava al lavoro, si rifiutava di mangiare perdendo peso in poco tempo, si rifugiava nell’alcol e passava immobile ore davanti alla tv.
Quattro mesi dopo quella sera che cambiò per sempre la sua routine, Miguel si tolse la vita nell’abitazione in cui viveva con la madre.
Mentre la Polizia, dopo aver raccolto la sua denuncia, identificava in Razvan l’autore dell’aggressione attraverso le testimonianze di avventori del bar vicino ai Giardini Alganon e l’analisi dei filmati di videosorveglianza che immortalarono il primo passaggio del gruppo di uomini e poi, chiaramente, l’imputato che si staccava, tornava indietro e ricompariva qualche tempo dopo.
Al processo non c’era solo l’imputato, ma anche padre, madre e sorella di Miguel che si costituirono parte civile con l’avvocato Marco Dapino per dare giustizia alla morte del ragazzo. E i giudici condannarono Razvan a 6 anni di reclusione, sei mesi in più di quanto chiesto dal pm.
Una decisione, quella di condanna dell’imputato, che la Corte d’Appello di Torino ha lievemente riformato (portando la condanna a 5 anni e 3 mesi) ma confermato sostanzialmente nel suo impianto accusatorio.
La difesa ha sempre respinto la responsabilità dell’imputato sostenendo che nessuna telecamera aveva ripreso la violenza, né aveva visto la vittima fuggire. Vittima che non si era fatto refertare al Pronto Soccorso mettendo dunque in dubbio persino la violenza sessuale stessa. Una tesi non creduta né in primo, né in secondo grado di giudizio
La sua storia finisce sulla Human Library
La vicenda tragica di Miguel ha incrociato sulla via della giustizia un avvocato con la passione per la scrittura.
E’ l’avvocato Marco Dapino che sia in primo che in secondo grado ha assistito la sua famiglia, costituitasi parte civile.
E che, lo stesso giorno in cui la Corte d’Appello ha confermato la condanna all’aggressore, ha affidato alla Human Library la storia di Miguel.
Questo il testo comparso sul suo profilo Facebook.
“Bella, solare, di ragazzo aveva solo un nome e un corpo felice di indossare un lungo e stretto abitino da poco acquistato, da tempo sognato.
Scherzava, brillava, rideva, nonostante un padre che non la accettava, non poteva o non riusciva, e una madre che per questo suo essere nulla e tutto in un essere solo l’amava ancora di più, sebbene dimostrarlo fosse difficile.
Poi una passeggiata in un parco, nel semibuio di una notte sbagliata, un animale ubriaco e aggressivo vestito da uomo, uno stupro.
Umiliata e colpita, violata e sporcata, sopravvisse scappando, o almeno sembrava.
Invece era morto il sole, e con lui la gioia, il sorriso, l’anima, la luce, la ragazza che viveva dentro. Il resto, il suo corpo sbagliato ormai vuoto, seguì dopo pochi mesi appeso a una corda.
Immaginate di essere lei, provate ad identificarvi in una madre disperata, o nel rimorso senza rimedio di un padre che forse ha perso la prova d’amore della vita, fallendola.
Siate loro, uno alla volta, se vi piace davvero ascoltare le storie degli altri.
Cominciamo da qui”.
(Torino, Corte di Appello, 26.1.2021)
Daniela Peira
Una risposta
Conoscevo la ragazza poco frequentata poco ma visto la sua bellezza e voglia di vivere sono molto molto felice solo che finalmente la merda che l’ha fatta arrivare al suicidio per averla violata nel anima paghi sincera speravo prendesse più anni.