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Cultura e Spettacoli

Mick Jagger steso da un pugno
e lo humour di Bob Dylan

Non c'è modo migliore per inquadrare "Rock Bazar" di quello contenuto nel preludio che Massimo Cotto scrive per il libro:[…] Il ricordo del rock che fu, tramite i suoi eccessi e i

Non c'è modo migliore per inquadrare "Rock Bazar" di quello contenuto nel preludio che Massimo Cotto scrive per il libro:

[…] Il ricordo del rock che fu, tramite i suoi eccessi e i suoi miti, è felicità e dolore. Perché quel mondo oggi sopravvive solo nelle pagine di un libro. Nessuna nostalgia (avere rimpianto del tempo andato non è rock: è stupidamente pop), ma semplice verità: sono finiti gli anni delle tre J e della "Swingin London", di Bonzo e Keith Moon, di Barrett, Brian Jones e Plaster Caster […]. Oggi sopravvivono taluni eccessi, ma non quel mondo dove gli eccessi erano sempre la regola e mai l'eccezione, la provocazione un modo di vivere e non di atteggiarsi, le follie una valvola di sfogo e non una miseria per mettersi in vetrina. Rimane la voglia di rileggere, di raccontare, di evocare altri sapori. Ecco perché è nato "Rock Bazar" […].

In un misto, spesso sfumato, di cronaca e leggenda, le storie che ci riporta Cotto sono uno spaccato sul lato oscuro degli artisti, quello che ha finito per consegnare certe icone al mito rendendole talmente umane nei loro più esecrabili difetti da farle amare incondizionatamente dal popolo del rock. Prosegue Cotto nel preludio:

[…] La domanda che ogni lettore ha sulla punta delle labbra è: queste storie sono vere oppure leggenda? Difficile, nel rock, distinguere la realtà dall'invenzione. Mi è capitato più volte di ascoltare dalla viva voce di alcune rockstar lo stesso aneddoto raccontato in modi diversi, segno non credo di una cattiva memoria ma della voglia di aggiungere sempre nuovi elementi. […] Che importa sapere dove stia la verità? Come si diceva nel film "L'uomo che uccise Liberty Valance": «Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda». In generale ho comunque cercato di distinguere, ricostruendo le storie come si sono realmente svolte […].

Valga ad esempio la storia che apre il libro (pag. 13) con protagonisti Charlie Watts e Mick Jagger, batterista e cantante dei Rolling Stones. «Forse la mia preferita ? confida Cotto ? perché mostra che a volte anche l'ego di rockstar come Mick Jagger può e deve essere messo a tacere»:

"Ma che ore sono? Le cinque del mattino? Ma chi cazzo è che telefona a quest'ora della notte?"
Ottobre del 1984, siamo ad Amsterdam, Charlie Watts, il batterista dei Rolling Stones è nella sua stanza d'albergo quando riceve una telefonata. Accende la luce, guarda l'ora e si stupisce.
Lui non è come gli altri Stones. Sempre fedele alla moglie Shirley, è l'unico a rifiutare le groupies, anche se Mick Jagger e Keith Richards continuano a ripetergli che è pazzo, che la vita è una sola e quella degli Stones è la migliore delle vite possibili. Persino quando sono stati invitati nella villa di Hugh Hefner, il boss di "Playboy", durante il tour americano del 1972, Watts è stato l'unico a trascorrere tutto il tempo nella sala giochi invece che con le conigliette.
Insomma, non è normale che qualcuno lo chiami alle cinque del mattino, a meno che sia successo qualcosa di grave.
Così va a rispondere
E' Mick Jagger.
Lui e Keith Richards, ma questo Charlie Watts lo saprà soltanto in seguito, sono appena tornati a da una notte di alcol ed eccessi vari ed eventuali.
"Perché non chiamiamo Charlie?", dice Keith.
"Be', lo conosci, A quest'ora dorme."
"Chiamiamolo lo stesso", dice Mick.
Jagger fa il numero della stanza di Watts.
"Ehi, dov'è il mio batterista?", chiede. "Perché non trascini il tuo culo fino a qui?"
Charlie Watts non dice una parola, appende la cornetta, va in bagno, si fa la barba, si mette lo smoking, lucida le scarpe, le indossa. Esce dalla stanza, raggiunge Jagger nella camera di Keith, si avvicina e gli sferra un sensazionale pugno in faccia.
Jagger finisce sopra un piatto di salmone affumicato, Keith Richards lo afferra per una gamba impedendogli così di precipitare dalla finestra aperta al ventesimo piano.
Jagger non accenna ad alzarsi, guarda Charlie Watts con aria interrogativa.
E Charlie Watts gli dice: "Non mi chiamare mai più "il mio batterista". Sei tu il mio fottuto cantante del cazzo!".

Oppure l'incontro tra Bob Dylan e Peter Grant narrato nella storia 171 (pag. 132 del libro) in cui a brillare è la frase conclusiva del menestrello di Duluth. «Sono un appassionato della battuta fulminante ? dice Cotto ? Ecco perché l'aneddoto su Dylan e Grant mi diverte così tanto»:

Storia brevissima, storia bellissima.
Party a Los Angeles. Celebrità ovunque. C'è persino Bob Dylan, uno che alle feste ci va solo se è l'unico invitato.
Peter Grant si avvicina, gli offre la mano per una stretta e si presenta: "Sono Peter Grant, il manager dei Led Zeppelin".
Bob Dylan lo guarda, gli stringe la mano e poi dice: "Anch'io ho i miei problemi, ma non vado in giro a dirlo a tutti".

Due esempi. Semplici ma didascalici e, in verità, rappresentativi dello stile che percorre, a metà tra cronaca e antologia, tutte le pagine di "Rock Bazar". Un testo che, come afferma il suo autore, «nasce per tenere insieme le cose senza altra trama se non quella della musica».

l.g.

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