E’ da ieri in libreria “Dove Dio ha nome di donna. La mia missione tra i Samburu del Kenya”, il nuovo libro del vescovo di Asti Marco Prastaro in cui racconta i 13 anni vissuti da missionario nel Kenya settentrionale tra il 1998 e il 2001.
Pubblicato dall’Editrice Missionaria Italiana, conta 120 pagine ricche di umanità e di riflessioni intime, in cui l’autore svela molti aspetti della propria interiorità.
Le parole del vescovo
Scrive monsignor Prastaro: «Gli anni in Kenya mi hanno “costretto” ad affrontare questioni importanti che diversamente, forse, avrei facilmente evitato. Ho dovuto chiedermi chi io fossi veramente». In questo viaggio interiore ammette di aver fatto varie scoperte. Ad esempio ha «dovuto riconoscere che gli altri, soprattutto i poveri che bussavano alla mia porta, mi davano fastidio, mi irritavano, disturbavano la mia vita, appesantendola delle loro fatiche e delle loro colpe. Questi benedetti “altri”, di cui con parole dolci mi facevo bello con gli amici in Italia, insidiavano la mia autonomia». Ma ecco che, col tempo, cambia il suo sguardo. «A un dato momento ho iniziato a guardare ai poveri con occhi diversi: non erano più un’insidia per la mia vita. Cominciavo a riconoscere che ciò che di loro criticavo erano quelle debolezze e, talvolta, anche quei peccati che avevo scoperto nel mio cuore. Così sono diventati pian piano i miei fratelli e le mie sorelle. Ho iniziato ad apprezzarli per ciò che erano. Ho capito che erano miei fratelli perché è proprio vero che Dio è nostro padre».
La vita nella missione
Prastaro racconta anche la vita nella missione nei suoi risvolti quotidiani, avventurosi e curiosi: la donna analfabeta che chiede il battesimo senza conoscere nulla del catechismo ma annunciando in pienezza chi è Dio («Dio è amore»); le corse notturne negli ospedali per permettere alle donne di partorire in sicurezza; la mancanza di pioggia e la siccità che colpiscono duramente il popolo Samburu. E ancora, le domande su Dio, la sua bontà e la sua giustizia quando si vede un bimbo morire di fame; la gioia e la festa delle celebrazioni liturgiche africane, animate dai canti di un popolo ricco di religiosità; l’impegno a difesa della vita nascente e lo scontro con il dramma dell’Aids.
«Nel lavoro missionario ci si deve confrontare con problemi grandissimi che, per certi versi, non hanno una soluzione», ammette Prastaro. «Il senso di impotenza ci accompagna sempre e la situazione, in fin dei conti, ci fa crescere. Ci si sente spesso come chi tiene la mano a un moribondo: un gesto che non riesce a fermare la morte che si avvicina, ma rende quell’ultimo ed estremo momento dell’esistenza profondamente diverso, perché pieno di amore e umanità. In questo trovo tutto il bello di ciò che ho vissuto».