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Cronaca

Happy night: «Non era spaccio
ma consumo di gruppo»

Questo il concetto fondamentale espresso dai numerosi difensori degli imputati del processo sul giro di cocaina dell'Asti Bene. La vicenda dura da nove anni e secondo alcuni avvocati potrebbe profilarsi la prescrizione. Appassionata difesa del poliziotto accusato di essere una "talpa". Per mercoledì è attesa la sentenza

Battute finali per il processo Happy night che dura ormai da nove anni. Mercoledì mattina, in tribunale, è stato il turno della folta squadra di avvocati difensori che si sono trovati ad analizzare le posizioni più marginali del gruppo di amici, appartenenti alla cosiddetta Asti Bene, che in più occasioni avevano partecipato a "sniffate" collettive. Ed è proprio sul concetto di consumo di gruppo che si sono spese le arringhe degli avvocati Mirate e Rattazzi, difensori rispettivamente di Pierluigi Boarino, Paolo Chiola, Elisa Marzocca, Graziella Viarengo, Alberto Fassio. Su Boarino è stato lo stesso pm Tarditi, nella scorsa udienza a chiedere l'assoluzione e il suo difensore non ha fatto che ribadire come il processo abbia confermato la sua totale estraneità ai fatti che gli erano stati contestati.

Per Chiola, Fassio, Viarengo l'attenzione è stata puntata dapprima sulle "presunte" cessioni che sono state contestate sulla base di dichiarazioni di coimputati o testimoni ma non sono state nè documentate nè provate. Poi i difensori hanno invocato recenti sentenze della Cassazione su una nuova interpretazione del consumo di gruppo di sostanza stupefacente; circostanza che non costituirebbe reato e per la quale è stata chiesta infatti l'assoluzione degli imputati. Dalle intercettazioni audio e video, emergeva che, all'interno del gruppo abituale di amici consumatori, uno portava la sostanza (a turno, non sempre la stessa persona) e tutti potevano disporne liberamente, in ambienti chiusi e privati. Un uso collettivo di cocaina la cui partecipazione economica all'acquisto spesso assumeva i connotati della "compensazione": a turno la compravano e tutti la sniffavano. Facendo così decadere, secondo le arringhe difensive, la fattispecie della cessione.

Un cenno lo merita la posizione di Elisa Marzocca, secondo l'avvocato Mirate estremamente irrilevante essendo entrata nel processo solo per aver dato al suo compagno un numero di telefono di un fornitore abituale. In generale, gli avvocati hanno sottolineato come il processo si occupi di una vicenda modesta. Considerando gli otto mesi di indagini ed intercettazioni e le quaranta persone coinvolte, alla fine la quantità di droga "contestata" nei capi di imputazione è di poco superiore ai 300 grammi. Discorso extra-consumo è stato fatto dall'avvocato La Matina per Carlo Corsino, poliziotto in servizio alla Questura di Asti all'epoca dei fatti. Lui era accusato di aver rivelato che c'erano intercettazioni in corso a persone poste sotto indagine.

In un primo caso è uno spacciatore a dire di essere stato avvisato da Corsino che il suo telefono era sotto controllo, ma per due anni a carico del poliziotto non è stato contestato nulla e non è mai stato fatto alcun riscontro alle dichiarazioni del suo accusatore. In un secondo caso il suo nome viene fuori da un colloquio (in parte mimato) fra un ex collega, Bisogni (ora deceduto) e Gippy Crosetti (personaggio principale intorno al quale ruotava tutto il giro di amici di Happy night). «Ma anche in questo caso non c'è alcuna conferma a quanto affermato» ha sottolineato l'avvocato. Nell'ultimo caso sempre Corsino è accusato di aver avvisato Gippy dell'imminenza dell'operazione Happy night. «Circostanza mai provata, solo dedotta e che non tiene conto che più persone sapevano di questa operazione anche diversi giorni prima dell'esecuzione delle custodie cautelari» ha insistito La Matina prima di chiedere l'assoluzione per il suo assistito.

Una parte del resto del team dei difensori (completato dagli avvocati Coda, Ponzio, Esposto, Totolo) ha anche chiesto la prescrizione dei reati. Il giudice Ceccardi ha rinviato l'udienza a mercoledì prossimo per le repliche del pm e la sentenza.

Daniela Peira

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